Al penultimo rondò prima del Castellani un cartello marrone recita «Vinci 12», e più che un’indicazione stradale — al paese di Leonardo da qui ci s’arriva in bici — sembra tanto un’esortazione a Marco Giampaolo e al suo Empoli, che non fanno 3 punti tutti insieme da 11 partite, ultimo guizzo uno 0-1 il 10 gennaio a Torino, versante granata. Sabato tocca a quello bianconero, non esattamente il posto più semplice per sbloccarsi. «E invece io ho buone sensazioni — attacca il tecnico di Bellinzona, 48 anni, brandendo come una spada il solito inseparabile sigaro, più spento che acceso —. Ora come ora per noi è la partita ideale, perché non abbiamo nulla da perdere. Possiamo far bene, ma serve sfacciataggine».
Quella di novembre-dicembre, forse. Ora siete in crisi evidente, 2 punti in 6 partite. Fosse sindrome da pancia piena sarebbe pure umano, con 36 punti siete già salvi. È così?
«Squadra giovane, qualcuno ora gioca più agitato perché sa dell’interesse dei grandi club, ci sta. E comunque serve ancora qualche punto. Magari già questo sabato…».
Quindi sta architettando uno scherzo alla sua (quasi) ex: nel 2009 andò a dormire da allenatore della Juve e al mattino scoprì di essere stato sorpassato a destra da Ferrara.
«Treno passato, sono uomo di mare, quindi fatalista: si vede che non doveva andare così. Come dice quella canzone, non rimpiango niente».
Dybala è in dubbio, quanto cambia la Juve con o senza di lui?
«Per quanto riguarda noi, niente. Nel senso che non cambio nulla della preparazione della partita. Se non c’è lui, ci tocca Morata, Zaza. Siamo noi la questione, non loro. Loro sono più forti e basta. L’unico quasi insostituibile è Bonucci».
Ad ogni, modo comunque vada sabato, farà felice un suo amico.
«Sì, sono legato sia a Max (Allegri) sia a Maurizio (Sarri). Fra loro sarà un bel testa a testa fino alla fine. Ma resta apertissima, la Juve non ha già vinto».
Tre amici allenatori e di sinistra. «Sono cresciuto nel mito di Herrera e Berlinguer» ha detto. Segue ancora la politica?
Pausa. Accende il sigaro. Tirata profonda. «Oggi credo più nelle persone, sinistra e destra non ci sono più, si incrociano, si confondono. C’è una rielaborazione moderna, meno ideologica, come nel calcio».
Ha anche detto di essere appassionato lettore. Cosa sta leggendo?
«Sul comodino ho quattro o cinque libri iniziati e non finiti. È un momento così, di cose a metà da completare. Mi sto appassionando a una rubrica di terminologia calcistica inglese».
Quindi, essendo in scadenza, l’anno prossimo va in Inghilterra? Lassù il Made in Italy tira.
«Mi piacerebbe molto un’esperienza all’estero, sì. Magari più avanti, chissà. Per come sono fatto, per cultura, il mio posto ideale sarebbe la Spagna, che per me è come stare a Giulianova. Ma l’Inghilterra sarebbe una bella sfida».
Da noi un caso Leicester, cioè una piccola tipo il suo Empoli che se la gioca per il titolo, è fantasia. Perché?
«Questione di rapporti di forza, suppongo. In Italia c’è più disparità, alla lunga una piccola non può reggere. I soldi contano».
Chi farà strada fra i suoi ragazzi?
«Assane Dioussé, 18 anni e un talento enorme. Se impara a gestire le pressioni, vale una grandissima squadra».
Quindi in questo senso Saponara al Milan ha fallito?
«Io sono arrivato dopo, non ho gli strumenti per rispondere. Quest’anno ha avuto qualche problema fisico, ma per me è eccezionale. Rende facile il difficile. È da grande squadra, eccome».
Si dice che le sue lezioni di tattica ai corsi di Coverciano siano imperdibili. Lei è stimatissimo dai suoi colleghi, cosa rara in ogni ambito professionale. Ma se è così bravo, che ci fa ancora all’Empoli a quasi 50 anni?
«L’allenatore, e con enorme orgoglio. Qui mi hanno permesso di tornare su una panchina di A, non era scontato. Arrivavo dalla Cremonese, LegaPro. Credo dovesse andare così, punto. E direi che non mi sta andando poi tanto male. L’importante è potermi guardare allo specchio: per me conta solo la coerenza. Ho fatto un mucchio di scelte difficili, per coerenza. Forse conveniva essere più ruffiani, ma mio padre che era operaio ed emigrante non mi ha insegnato così».
Lei non è per niente social. Niente Facebook, niente Twitter. Non aiuta, sa?
Sigaro. Tirata. «Chissenefrega».
Una sera del 2009, poco dopo la sua unica notte da juventino, incontrò in un bar di Siena Luis Sepùlveda, il suo scrittore preferito. Fu una notte «di fumo e pensieri», raccontò, e si lasciarono con una frase, «il silenzio è comunicazione», che per Giampaolo è una mappa. Anzi, un cartello stradale.
Fonte: Corriere.it
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