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Emirates Cup, tra oggi e domani esame vero per gli azzurri. Higuain il più atteso

Palla al centro: e si ricomincia a pedalare verso il futuro, in quell’orizzonte da definire che resta ancora ignoto – perché ad agosto è così – ma nel quale si riesce comunque a intravedere il Napoli. Azzurro, il pomeriggio è tutto azzurro, ed è una sensazione di football meravigliosa, in quello scenario incontaminato d’uno stadio che trascina con la fantasia e accresce i rimpianti: siamo lontani, e quanto. Benvenuti all’Emirates, l’ennesima tappa d’un processo di internazionalizzazione collettiva, una lezione a cielo aperto per aggiungere nozioni (tattiche) e cominciare a mandare a memoria il codice-Benitez: è 4-2-3-1, è sfida elettrizzante a Wenger e ad una scuola di pensiero, ad una cultura, che lascia i risultati ai margini del campo e dà continuità alle gestioni tattiche, alle filosofie aziendali, ad un modello (avveniristico) di fare impresa.

LARGO AL PRINCIPE – Ore 17.20: è immersione totale (full immersion, già) nel mondo dei Gunners, nella loro evoluzione, nella loro già pronunciata preparazione atletica, nella abitudine a giocare seguendo sempre lo stesso spartito; e in quest’ora e mezza in cui di Benitez ci sarà ancora poco (e quasi nulla), ciò ch’emerge è la cresta alta di Marek Hamsik, la sua capacità di catturare l’attenzione, la sua prepotentemente investitura popolare a leader. E’ calcio d’agosto, però il talento si riconosce sempre e a prescindere: e in questo puzzle nel quale ancora mancano Reina, Maggio, Albiol e Higuain – e per il quale resta ancora vaga l’espressione di Zuniga, il suo completo coinvolgimento emotivo depurato da qualsiasi distrazione di mercato – la certezza è rappresentata, sintetizzata, dallo spessore ormai universale d’un centrocampista che lunedì sera il San Paolo ha eletto ufficialmente a re e che ha nei piedi, nella testa, le stimmate di una guida spirituale. Hamsik è il solista sopravvissuto a quella indemoniata banda di tenori, il collante tra il passato più recente e un domani che per restare avvincente avrà comunque bisogno di ulteriori e mirati interventi: ma la sua rassicurante presenza e quell’autorevolezza manifestata nei suoi sei anni, costituiscono una garanzia e – verificate le novità tattiche – inducono anche ad incuriosirsi.

LE IDEE – Sono parecchie e lodevoli: ma avranno bisogno dell’organico al completo, della felice condizione degli esecutori, di una serie di allenamenti autentici, di ripetizioni che aiutino a memorizzare i movimenti offensivi e difensivi, a stabilire i sani equilibri tra i reparti. C’è il fascino d’una gara da Champions, c’è la consapevolezza di dover verificare cosa (e quanto) sia mutato in poco meno di quattro giorni lavorativi, c’è però innanzitutto – aspettando il vero Higuain (ma già oggi vedremo e capiremo qualcosa) – il marchio che Hamsik può imporre nelle congetture di Benitez, usando la corsa e l’intelligenza, «rileggendo» la gara a modo suo, dunque interpretandola quasi personalizzandola. Il settimo Hamsik s’è presentato in versione assolutamente inedita, restando concettualmente «verticale» nell’atteggiamento ma mostrandosi assai più attaccante e molto meno centrocampista: è un processo evolutivo che avrà bisogno di ulteriori verifiche e l’Arsenal (con il suo atteggiamento speculare) può consentire a quel genietto incontenibile di scovare dentro di sé nuove frontiere. Visto da Marekiaro, il calcio è una mirabile invenzione.

Fonte: Corriere dello Sport.

La Redazione.

D.G.

 

 

 

 

 

 

 

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