Il conto della serva è presto fatto: dodici milioni di euro, tutti d’un fiato, lanciati sul tavolo da gioco del mercato (anticipato), mentre intorno a quel bimbetto c’è la ressa, con l’Inter che spinge, l’Arsenal che sgomita, i russi che incalzano e il tempo che stringe. Mesi di appostamenti, un osservatore sistematicamente spedito in Cile e dovunque giochi la U per svelare il talento che fa. Edu Vargas, a novembre, mentre Atalanta-Napoli stanno per cominciare a giocare, è quasi un piccolo principe azzurro: però è lunga e faticosa e dispendiosa l’investitura, perché intanto il gioco s’è fatto duro e diventa duro sottrarsi alla giocata. Il banco salta con un’offerta che spazza via le resistenze altrui, mentre intanto il bambino prodigio ha fatto anche altro: alle spalle di Neymar, nella classifica specialissima del pallone d’oro sudmericano, c’è finito il cileno, che ha corsa un po’ disarticolata, ma che quando ti punta t’infilza.
LA BEFANA– Vien di notte, in genere: e però, a sera, il 5 gennaio, Vargas sbarca a Fiumicino. Porta con sé in dote un bel pacco d’effervescenza, qualche timido pregiudizio e un pensiero stupendo che svela a uso e consumo delle telecamere, le uniche parole che resistono all’usura della diffidenza d’un semestre in bianco: «Voglio affermarmi e vincere con il Napoli». La vita è una gimkana e da gennaio a giugno sono sterzate brusche alla propria esistenza: un nuovo calcio, assai più evoluto sotto il profilo tattico; tre mostri sacri davanti, e sono Cavani e Lavezzi e Pandev, una squadra che conosce a memoria lo spartito; poi, vabbè, se volete, metteteci alimentazione nuova, una lingua completamente sconosciuta e tipologie di lavoro da scoprire. Vargas è racchiuso in dieci presenze e però sarebbe più giusto dire centoquindici minuti, dunque brandelli di partite, quelle che gli può lasciare Walter Mazzarri, che intanto deve provare a conciliare le esigenze pressanti del campionato, della Champions League e della coppa Italia con la costruzione ex novo d’un attaccante.
LA MALEDIZIONE– Poi uno dice la fortuna è cieca. La sfortuna, invece, sa benissimo dove sistemarsi: Dimaro, cronaca dei giorni nostri, duri e colmi di acido lattico e di tossine, di scorie e di sudore, di ambizioni che comunque si cibano pure in allenamento. Il Napoli contro la Rappresentativa del Trentino e Vargas contro se stesso, anzi contro i pali: si può essere «fenomeni» pure nella malasorte, andando a coglierne due con un solo tiro, osservando il pallone che ti prende in giro perché intanto attraverso tutta la luce di porta e l’unica consolazione che concede è un sorriso per prenderla in scioltezza. Ma non finisce qua, come si urla negli stadi, perché contro il Bayern Monaco, la prima amichevole vera, dopo essersi allargato per far scaricare da Hamsik un assist giusto, dopo aver trovato la coordinazione giusta, aver persino creato le condizioni ideli per l’impatto con il destro, stumpf, sente un altro tonfo: ancora un palo e siamo a tre. E allora ditelo che ce l’avete un po’ con lui, che intanto s’è messo a fare il centravanti come gli aveva chiesto Mazzarri, modello-Pato prima maniera, uno che ha scatti terrificanti da sfruttare a campo aperto e però stando nel mezzo dell’attacco. Uno da istruire per usare con cura il potenziale che per il momento è ancora imploso ma che si vede tra le pieghe d’un match nel quale Vargas fa la sua figura, tiene palla e la copre, fa da sponda e poi da elastico, s’allarga e poi converge e, stumpf, stavolta molla un calcione a chi troppo spesso l’ha bruciato e va a rileggersi ciò che gli ha detto Mazzarri: «M’è piaciuto tantissimo, gli è mancato solo il gol». Che il nuovo «papero» stia arrivando?
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.F.