Campione a Napoli, continua a prendere a calci il pallone nell’isola della tragedia. Costa Concordia adagiata su un fianco, sommersa per trequarti nel mare, inerme sulla scogliera delle Scole, e Giovanni Francini ancora in campo, a 48 anni. «Uno sfregio all’isola la nave morta, alla strepitosa bellezza del Giglio e alla sua meravigliosa gente». Calzettoni un po’ alla Sivori, accortocciati all’altezza delle caviglie, quando aggrediva la fascia e volava sulla sinistra; i calzettoni rigorosamente alti, ora, e i parastinchi, agendo al centro della difesa dell’Aegilium, la squadretta di calcio dell’Isola del Giglio, campionato di terza categoria in Toscana. «La fascia no, non me la posso più permettere. Avanti e indietro, troppa fatica. Me ne sto in mezzo alla difesa, mettendoci passione e mestiere. Mi diverto». E ogni tanto fa pure gol.
L’isola l’ha conosciuta e apprezzata durante una vacanza estiva. Francini, 184 partite col Napoli, 10 gol, uno scudetto e una coppa Uefa, ha scoperto attraverso un amico viareggino che al Giglio c’è una squadra di calcio. «I ragazzi del posto hanno insistito, vieni a darci una mano. Gioco ogni quindici giorni in campionato, vado anche in trasferta. Viaggi brevi, nel Grossetano e in Maremma. Paesini antichi, posti storici». Come Tirri, un pugno di case, dove il Mori produce con le proprie mani pregiati e genuini salami che finiscono su richiesta sulla tavola della Regina Elisabetta.
I compagni di squadra sono giovani; lui gli anni della seconda età li denuncia tutti. I capelli come impolverati da spruzzi di cenere, color grigio le tempie. «Però entusiasmo e passione sono ancora quelli dei giorni belli. Il calcio mi serve per vivere domeniche spensierate, in mezzo ai giovani. Si sta bene insieme. Peccato per l’isola, al Giglio c’è tristezza per la brutta storia della nave». Gioca gratis, ovvio. Toscano di Massa, ha un’attività d’imprenditore in Versilia, in società con un amico. Aveva provato con la professione di procuratore di calciatori, apprendista attento nella scuderia di Beppe Bonetto, il suo agente quand’era un professionista del pallone. Il Napoli, la nazionale. «Ambiente opaco quello dei procuratori. L’ho sofferto, non mi piace, non fa per me. Preferisco osservare, andare a vedere calciatori e squadre. Questo mi piacerebbe fare».
Ha lavorato come osservatore della Juventus, lui cuore Toro. Un curioso paradosso o che cosa? A casa di Madame l’aveva chiamato un caro, vecchio amico, Ciro Ferrara, collega apprezzato e sodale negli anni dei trionfi napoletani. «Ho girato l’Italia e l’Europa, quando lui allenava la Juve. Sono andato a vedere le squadre avversarie dovunque. Un’esperienza molto formativa, facilitata dalla comune conoscenza durante il felice periodo napoletano».
Già, il Napoli. Gli riesce facile ammirarlo e tifare in poltrona davanti alla tv: Francio va in campo infatti la domenica pomeriggio con il suo calcio spensierato, impregnato di passione. «Il Napoli gioca spesso al sabato e in notturna». Grumi di nostalgia, ma non c’è forza che possa frenare lo scorrere del tempo. «Nessun rimpianto. Ho goduto di Maradona, il massimo. Posso ritenermi ultra fortunato. E ho giocato anche con Careca, non so cosa avrei potuto chiedere di più al calcio. Certo, sarebbe bello crossare per Cavani o scatenare la velocità di Lavezzi e Hamsik».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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