Marco Cirillo per “Il Mattino”
“I mediani hanno la vita segnata, non è solo questione di modulo ma anche di carattere, se stai nella zona più affollata di campo è perché sei abituato alle mischie, alla lotta, e soprattutto a dare il pallone agli altri. Blerim Džemaili ha in più l’educazione svizzera, per questo è un giocatore composto, rispettoso delle richieste che gli vengono dagli allenatori. Misurato nei passaggi, mai sopra le righe, ha un buon dribbling ma non ne ha fatto routine come Zuniga, il suo lato balcanico lo conserva nel tiro da fuori area, è la sua unica trasgressione (almeno in campo). Ogni volta che tira sembra un padre di famiglia che si fa una birra, guarda gli altri e dice: «lasciatemi perdere, ho lavorato sodo per una settimana intera», e tam, la scaglia verso la porta, e qualche volta segna (come col Catania o l’altro giorno col Torino). Tutto il resto non è noia, ma tattica, certo, ha un buon palleggio, riesce a inserirsi bene, non è una statua anzi, è uno che si consuma e non esce con la maglia pulita, è un timido, per certi versi sembra l’Antonio Pisapia de “L’uomo in più” di Sorrentino, impossibile non pensare a lui dopo la tripletta al Torino. Tre gol di destro, tre gol importanti, non banali, cercati, con leggere variazioni di distanza: due da fuori area uno appena dentro, tre tiri da specialista col terzo che stacca per estetica gli altri due, un esterno da passarci le sere al bar, aggiungendo come nota che Gillet aveva parato un rigore ad Hamsik. Perché a Džemaili tocca stare in mezzo, e sopportare, è un gregario e lo sa, le partite come quella di Torino sono rare, le triplette ancora di più. Abbandonare il campo col pallone non è da tutti, e anche se era abbastanza stanco ha di sicuro capito che quella partita è per sempre, sì, certo anche questa è una storia che sta nella mischia, ma conta, i suoi tre gol hanno impedito al Milan di scavalcare il Napoli, e il resto l’ha fatto Cavani, e giù tutti a parlare dell’attaccante uruguayano. Per questo è bene fare un passo indietro, spostare la telecamera sul ragazzo timido che esce col pallone sotto al braccio e un sorriso da bimbo. Perché ai mediani succede anche questo: che nella sera di una tripletta, quei gol non bastino e che quindi tutto sia vano senza gli altri. È una categoria dello spirito. Non conoscono la solitudine del campo, se li lasciano soli è per poco, se riescono a tirare è perché i difensori avversari non credono in loro (oddio, dopo questi tre gol al Torino crederanno più nei mediani che nella sindone) o sono presi dal marcare quelli che i gol li fanno sempre. Da Džemaili ti aspetti il passaggio semplice non tre grandi gol da lontano, e quando accade saluti l’evento come una giornata di sole in pieno inverno. Aveva segnato altre poche volte e sempre calciando da lontano o di potenza, i suoi tiri risentono del momento di fuorigioco: inteso non come posizione al di là della linea avversaria, ma come posizione al di là del proprio ruolo, lui non sperpera, tenta quando sente, prova quando è al limite, tira solo se non può farne a meno, è un Garrone da “Libro cuore” ma in campo, con una mentalità da ciclista: prima di pensare a se stesso si domanda in che condizioni siano gli altri. Quella di Torino è una partita capovolta, una fotografia dove Džemaili sta in primo piano, fuori dal gruppo, indossando un cappotto tre taglie più grandi della sua”.
La Redazione
P.S.
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