NAPOLI – La regola del tre, ancora una volta: come a Verona; la regola del gol, sempre: perché al San Paolo, è impossibile perdersi nel vuoto e Napoli-Atalanta conferma la tendenza d’una squadra che Benitez ha disegnato a trazione anteriore e che non tradisce mai (tranne che con il Parma). Con l’Atalanta finisce 3-1, quanto basta per regalarsi un quarto di nobiltà con la Lazio: e ciò ch’emerge da una sfida «vera», mai sprecata neppure dall’Atalanta, che la affronta con il piglio giusto, è la capacità d’un Napoli di provarci sempre, ad oltranza, pur senza essere stimolata dalle motivazioni del campionato, la straripante condizione di un Callejon che mostra di poter ambire (per la qualità della doppietta) all’etichetta di top player.
PARTENZA – Lanciatissima, perché il messaggio da inviare alla partita sia indiscutibile: e non c’è manco il tempo d’accomodarsi per intuire che sarà una serata pazza ma intensissima, da attraversare con i cardiotonici a portata di mano. La Grande Bellezza si materializza immediatamente in tutta la sua intierezza, espressa in una manifestazione di calcio da applausi per le intuizioni collettive e per l’interpretazione dei singoli, raffigurata (13′) dalla verticalizzazione Benalouane-Livaja-De Luca per l’1-0 ma sublimata soprattutto dalla volée di Callejon, su lancio di Reveillere a scavalcare l’ultimo uomo, che spinge il San Paolo alla «standing ovation» per l’1-1 da favola.
LO SPETTACOLO – E’ annunciato dall’ouverture, dall’assolo d’un Callejon da ammirare in ogni sua movenza, dal ritmo impresso alla partita da chi come Napoli e Atalanta ha deciso di non negarsi il quarto di Coppa Italia, da afferrare spremendosi le meningi per andare a scovare i complessi angoli di passaggio d’una gara (comunque) tattica. Lo scenario è invitante, la prospettiva lusinghiera e Colantuono sceglie di osare: 4-4-2 però offensivo, con Giorgi che si alza e va a formare una sorta di tridente in fase di possesso. Ma quando il Napoli riparte, fa male e (17′) la dimostrazione è sulla verticale Inler-Insigne, chiusa tempestivamente da Polito. E’ impossibile annoiarsi ed è sconsigliato distrarsi: lo fa Zapata (23′) che manca l’impatto; non ci casca Britos (28′), con la diagonale decisiva sulla percussione di Giorgi; non se lo concede Yepes (47′) sulla sovrapposizione di Maggio che cerca un tap in e trova il colombiano.
CONFRONTI – Si va all’«uomo nella zona» in ogni angolo, si osservano gli eventuali progressi (piccoli) di Radosevic e (impercettibili, stavolta) di Zapata, quelli di Kone e De Luca, si gode d’una serata vibrante, mai banale, carica di temperamento e d’agonismo, d’illuminazioni che alla distanza si diradano ma non scompaiono mai. E’ però vanno evitati i supplementari, quella fatica addizionale che diviene un «nemico» oscuro in vista d’una domenica centrale per chiunque.
IL CALO – D’elettricità dura un attimo, al rientro dello spogliatoio, i quattrodici minuti che separano il nulla dall’ingresso in campo di Hamsik, a cinquanta giorni dalla sua ultima apparizione. E’ una scossa emotiva che il san Paolo coglie, che Insigne assorbe e che non viene depotenziata la traversa (18′) sulla punizione a giro dello scugnizzo. L’onda lunga va sfruttata e Benitez infila Higuain, per un finale che si condisce di pathos, di gialli e di rossi, di quello ch’ mancato in precedenza e di quello ch’è già esistito.
LA SVOLTA – E’ nell’aria, la si percepisce, la si avverte e sul lancio di Inler per Higuain (in fuorigioco ritenuto però passivo da Barbirati, il primo collaboratore di De Marco). La spalla di Del Grosso genera una carambola perfida, diabolica che sistema Insigne dinnanzi alla porta spalancata per il 2-1. E’ il caos, condito da proteste, dall’espulsione di Yepes, dal disorientamento dell’Atalanta che scompare, travolta dall’ira (con Cigarini che insulterà Callejon non appena metterà piede in campo) ed a quel punto sopraffatta dal’inferiorità numerica e stesa dall’intuizione di Inler che scorge Callejon e gli cala sul destro – pure questo al volo – il pallone che garantisce la sfida alla Lazio, una serata nostalgica con Reja, un quarto dal sapore assai speciale.
Fonte: Corriere dello Sport
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