Cercasi il Napoli disperatamente: e in quella nube che ormai l’avvolge dal 2 febbraio scorso, lo spartiacque tra due dimensioni (tecniche, tattiche, atletiche, mentali), c’è la nuda e cruda verità che il campo ha amplificato, trasformandola in eco insopportabile. I numeri hanno una loro espressione che raffigura l’identità reale: ma da quel 2-0 sul Catania al 2-0 Verona, nel segmento d’una stagione vibrante, s’è infilato qualche granellino che ha mandato in tilt l’apparato, svuotatosi d’incanto.
Lo scudetto è un’utopia, ormai, ma la Champions, quell’affare a scatola chiusa da una ventina di milioni di euro, la cassaforte dei propri sogni (mica solo economici) ora è sottoposto alla fiamma ossidrica d’un diavolo che se ne sta alle spalle.
CAUSE – La metamorfosi (sarà un caso e non lo è) si compie nell’istante in cui l’ispirazione di Edinson Cavani evapora nel nulla, in quel vuoto pneumatico che rinchiude non solo el matador ma il Napoli tutto, incapace di produrre azioni in maniera massiccia come pure ha dimostrato di saper fare, salvato all’Olimpico di Roma (a due minuti dalla fine) da una geniale torsione da circo di Campagnaro, poi contro la Juventus rimesso in carreggiata da una “padellata” da trenta metri di Inler: fine delle trasgressioni e la sintesi di queste otto puntate precedenti al tonfo con il Chievo e nelle due reti d’un difensore e d’un centrocampista, nella “latitanza” dei tre tenori.
EFFETTI – L’umore ha smesso d’essere indistruttibile e alla vena malinconica di Cavani, vanno sommate le difficoltà (quasi “storiche”) di Hamsik d’ergersi a protagonista nei suoi inverni glaciali consumati in letargo, alla prolissità d’una manovra che appare involuta, eccessivamente susseguiosa del palleggio, priva di accelerazioni, affidata al sentimento e non più al ragionamento, con gli esterni che viaggiano in solitudine (e male), gli interni che non accompagnano e la percezione che qualcosa si sia incrinato nei meccanismi. Ma c’è dell’altro: Pandev è ormai l’ombra del top player inseguito e poi acquistato, versando sette milioni di euro per farselo concedere e non più in prestito dall’Inter; e Insigne, che in teoria ne è l’alternativa, vaga senza sorrisi (quando c’è da coprire) in quella terra di nessuno ch’è la mediana, investito dell’urgenza di assecondare le diagonali, di sostenere la fase passiva, di restare nel limbo e dunque di perdersi poi quando c’è da ripartire ferocemente.
SVILUPPI – Il Napoli di Mazzarri s’è ritagliato, nel quadriennio, la fama di anima ribelle: e, al di là delle imperiose rimonte del passato, la sua ferocia e la vocazione ad assalire con elasticità le partite, domandole con la fisicità e l’atletismo espresse dal Chievo per un’ora e mezza. La crisi ora è nelle statistiche, nella asciutta lettura d’un mesetto nel quale vanno obbligatoriamente inserite – per onestà analitica ed intellettuale – pure gli scivoloni con il Viktoria Plzen, rumorosi nella loro entità e manifestazione ulteriore del disagio attuale d’una squadra che appare la parente lontana di se stessa, lanciatasi nella dolce fantasia attraverso le sue prime sette giornate di campionato, ricche di sei vittorie e di un pareggio. Per scoprire dove sia l’errore tra quel Napoli e questo, può (forse) bastare leggersi dentro e però in assoluta imparzialità, radiografandosi senza alcuno schermo mentale.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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