Melwood, West Derby, periferia di Liverpool. Là si allenano i reds. Pioggerellina fastidiosa tutti i giorni, l’umido nelle ossa e i Beatles ovunque. Soprattutto nello spirito. Dossena arrivò ch’era presto, si accomodò. Lo stanzone era pieno di luce. Enorme. Computers accesi, pile di dvd, giornali, appunti e la tv. Rafa Benitez era seduto dietro la scrivania. Da lì sembrava controllasse il calcio di tutto il mondo. «Piacere, Andrea». Benitez gli strinse la mano, gli diede il benvenuto e subito cominciò la lezione di tattica. « Non perse tempo. In un minuto mi spiegò tutto. Cosa voleva, come dovevo giocare. Mi disse: so che a Udine facevi l’esterno in un centrocampo a cinque; io ti vedo basso in una difesa a quattro. Oltre a spingere dovrai anche difendere. Gli equilibri sono fondamentali».
«TOP COACH» – L’equilibrio, il principio base di Benitez. Che sia calcio o vita. Sobrietà, misura. Anche quando parla. Un filo di voce appena. E pure sta perdendo, nell’intervallo non alza mai la voce. Toni bassi. Parole però sempre chiare, precise. Che arrivano. «E’ autorevole. Lavagna, video, fogliettini, così spiega movimenti e schemi. Benitez è un top coach, il Napoli non poteva cercare di meglio». Dossena arrivava dall’Udinese. Costò dieci milioni di euro. Poteva restare in Italia, scegliere. Ma fu impossibile resistere al Liverpool. Il fascino di Anfield, la musichetta della Champions, “yuo’ll never walk alone”: il coro della Kop. Benitez lo telefonò. E fu facile dirgli di sì. « Si impone con il dialogo, con la conoscenza. Parla benissimo l’italiano. Mi raccontava sempre di quando andava a Coverciano. Del Milan di Sacchi e della sua passione per l’Italia. Saprà già tutto anche di Napoli, anche se non è uno che vive la città. Sta al campo tutto il giorno. E’ esigente. A Liverpool fece addirittura ristrutturare la sede». Saprà, Benitez. Conoscerà tutto. Sennò c’è Dossena che può ragguagliarlo, informare. E’ rimasta la stima. Un anno e mezzo insieme a Liverpool. L’esordio col Middlesbrough. Diciotto presenze e due gol. Ma mica robetta. Uno al Real, l’altro allo United. Due vittorie. «Rafa prepara ogni partita in maniera maniacale. E’ un perfezionista. Scrupoloso, pignolo. Attento ai calci piazzati: dedica ore durante la settimana. E’ un martello proprio come Mazzarri. Tiene la squadra sulla corda fino al giorno prima della gara. Nessuno sa la formazione, neanche la immagina: ne cambia sempre due o tre. E’ un fenomeno del turn over. Chiede tanto, pretende. Se non corri s’infuria. Se la prendeva anche con Gerrard. Che faceva più l’attaccante che il centrocampista».
TEAM – La squadra più del singolo. Il campione per esaltare il gruppo. Perchè è così che si vince. Col gioco, con l’organizzazione e il sacrificio. «Impazzirà per Behrami, sarà il suo Mascherano: il tappabuchi perfetto. Anche Insigne può crescere. Ma deve coprire la fascia come con Zeman. E pure Hamsik dovrà tornare. Lo vedo dietro la punta. Sa inserirsi, andare dentro, far gol alla Gerrard. Purché non lo faccia arrabbiare». Il Napoli come quel Liverpool. Ma pure come il Chelsea. «Direi 4-4-1-1, è questo il suo vero modulo». E allora linea a quattro dietro, due mediani che sanno però giocare la palla, esterni larghi, un incursore e il centravanti. Che fa gol. Cavani il meglio che c’è. Fernnado Torres, quasi. «Quello ch’era con me a Liverpool era spaziale, un fenomeno. Torres faceva numeri pazzeschi. Da quando è al Chelsea s’è un po’ perso. Rimane però un grande bomber. E poi con Benitez si esalta, ha finito la stagione alla grande. Certo, Cavani è straordinario e ama Napoli. Se resta, si può ancor più puntare allo scudetto. Benitez viene per vincere. Io, invece, difficilmente ci sarò. Ormai il mio tempo a Napoli penso sia finito». Benitez il vincente. L’uomo e l’allenatore dalle spalle larghe. Che non ha paura del confronto. E’ stato erede di Mourinho. E’ succeduto a Di Matteo, campione d’Europa. Ora a Walter Mazzarri. «Ma si somigliano. Stessa applicazione nel lavoro, due maniaci della tattica. Anche se poi ognuno ha le sue idee e metodi. Gli allenamenti di Benitez erano sempre di mattina. Brevi e intensi. E dentro c’era una cultura calcistica mischiata: Spagna, Inghilterra, ma anche Italia». Cultura europea. Da Champions.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.