Il profumo di Londra, maledizione, è ovunque: nell’aria, persino nella pelle e, probabilmente, nella testa di chi non ha mai smesso di pensarci, neanche per un secondo. Il corto circuito avviene al minuto 105 d’una notte da cani: e da quella notte, perso tra le stelle, la via maestra del Napoli è sfilata via, nel nebbione d’una delusione divenuta tormento. Sarà un caso, e forse non lo è, ma succede tutto a Stamford Bridge, con la sassata di Branislav Ivanovic che demolisce il sogno e trasforma un’impresa in una ingovernabile amarezza, un boomerang che ha effetti devastanti sulla psicologia complessa d’una squadra che è fatta di uomini e che si sgonfia d’incanto, perdendo la sua proverbiale ferocia e ritrovandosi spenta dentro, nell’anima.
IL CONTRACCOLPO – Il fumo di Londra esce dalle narici sull’aereo che riconduce a Capodichino, in quell’ira che domina Castelvolturno, nell’inaccettabile consegna del destino che rivoluziona la realtà e la trasforma impietosamente, lasciando scivolare la porticina dei rimpianti attraverso i fotogrammi dell’andata, d’un 3-1 che pareva rassicurante e che invece diviene inquietante: Cole che salva sulla linea, con Maggio che ha appena calciato a botta sicura; il pocho che si ritrova con il corpo all’indietro su una palla invitante, una delle sue; oppure la svirgolata determinata dal terreno che «sgambetta» Cannavaro e affida a Mata una chance da capitalizzare. E poi Stamford Bridge: l’infortunio a Maggio, il rigore che risistema i conti tra andata e ritorno, le prodezze di Drogba e di Therry. C’è materiale per un romanzone tristissimo, che fa breccia nell’umana dimensione a cui va ricondotta una squadra di calcio, con i suoi indiscutibili pregi e le sue immancabili debolezze.
REAZIONI – Londra, oh yes: perché da quella sera, nulla è stato come prima, solo al «Friuli», in un bagliore di Cavani, nella ribellione quasi incontrollabile che trasforma il matador in eroe, una forza della natura capace di ripulirsi immediatamente dalla macchia del rigore paratogli da Handanovic come un indemoniato: doppietta, a modo suo, con punizione a giro e un sinistro che rappresenta una rasoiata. Ma è un lampo, che esaurisce in quel finale elettrico la sua scarica.
SMILE – Il sorriso se n’è andato a Londra, eh sì: lo racconta la storia di questo mese senza precedenti dell’era Mazzarri, con una sola vittoria (in coppa Italia, contro il Siena) conquistata soffrendo, lanciandosi con il corpo e con il cuore al di là di un ostacolo che cresce a dismisura nella fase finale d’una gara dominata in avvio e poi controllata soprattutto attraverso i nervi. Ma il Chelsea è un’ombra maligna che si è allungata, che si è impossessata del cervello del Napoli, forse delle sue gambe, inaridendone lo splendore e l’entusiasmo: e così, avanti adagio, anzi piano, anzi soffermandosi a rimirar se stessi nel pareggio rocambolesco con il Catania (da 2-0 a 2-2) e poi in quel ruzzolone tridimensionale che si concretizzi tra l’Olimpico di Torino, quello di Roma tinteggiato di biancazzurro e infine persino il san Paolo, il teatro di uno scollamento interiore che induce ad analizzarsi e senza neanche la necessità di accomodarsi sul lettino di Freud: basta distendersi – immaginificamente – sull’erba non più verde di Stamford Bridge e cercarsi tra le brume della tristezza più cupa di due pareggi e tre sconfitte. Il calcio è spicchio di vita.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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