Per un bel po’, quella capacità di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e rimediare partite all’ultimo secondo, il Napoli l’aveva smarrita. Non riusciva più ad esaltarsi come gli accadeva tempo fa quando addirittura si era parlato di “zona Mazzarri”, specie nel campionato 2010-2011, allorché gli azzurri avevano portato a termine clamorose rimonte in campionato come in Europa League. Come non ricordare il tre a tre in casa della Steaua Bucarest, oppure l’altro prodigioso recupero in casa dell’Utrecht con lo stesso risultato, o anche l’eliminazione dei rumeni al San Paolo con un gol di Cavani all’ultimo secondo dei minuti di recupero. E come dimenticare certi successi in campionato poco prima del triplice fischio dell’arbitro (vittoria sul Palermo a dicembre del 2010 oppure il 2 a 2 con il Milan con gol di Denis nel finale). Il Napoli s’era specializzato nei gol realizzati nei minuti finali: 12 nel campionato 2009-2010; 16 in quello successivo; 7 nel torneo 2011-2012. Ad un tratto era svanita quella caratteristica che faceva del Napoli una squadra indomabile, dallo spirito garibaldino, con quella sana cattiveria agonistica tipica delle squadre provinciali. Colpa, evidentemente, della routine; di una certa assuefazione all’applicazione degli schemi; o anche di perdita graduale di stimoli. Quasi certamente dell’assenza nello spogliatoio di quei due-tre elementi capaci di dare la carica giusta agli altri compagni e di trascinarli a recuperare risultati sul filo di lana. Neanche Mazzarri era più capace di incidere come prima. Le parole non bastavano, i moniti cadevano nel vuoto. Ci sarebbe voluto qualcosa di forte. Qualcosa che scuotesse il gruppo, composto quasi dagli stessi elementi.
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