Il principio della responsabilità oggettiva, fondato su criteri inderogabili, è un meccanismo antiquato e crudele che, come nel caso del Napoli, può condurre ad una condanna senza colpa. Come in un assurdo processo kafkiano.
La società azzurra ha subito una pesante penalizzazione nonostante la vicenda Gianello abbia dimostrato che, in alcuni casi, risulta oggettivamente impossibile esercitare un controllo sulle attività dei tesserati. Né si può affermare che il club di De Laurentiis abbia ricevuto un vantaggio dalle presunte condotte illecite, tra l’altro consistenti in un supposto e maldestro tentativo. Allora, le speranze di una rivisitazione della penalizzazione inflitta passano soprattutto attraverso le “attenuazioni in via applicativa” del principio citato, richiamate nella motivazione della sentenza dalla Commissione Disciplinare, nella parte in cui i giudici hanno spiegato che le necessità di uniformità di giudizio hanno imposto una “reformatio in peius” rispetto alle richieste del procuratore federale. Sono stati citati i casi precedenti di Torino e Sampdoria e si è ravvisata l’esigenza di applicare una sostanziale “parità di trattamento”. La Corte d’Appello federale, o eventualmente il Tnas, però, potrebbero valutare l’anomalia della questione in esame e ribaltare le conclusioni dei giudici di primo grado.
D’altronde, la Commissione ha illustrato, in premessa, il diverso procedimento di formazione della prova nell’ambito del processo sportivo evidenziando le differenze con quello che, generalmente, avviene nel procedimento penale. Gli atti di indagini hanno pieno valore di prova e la fase del contraddittorio non si svolge nelle forme previste e disciplinate dal codice di procedura penale. Ergo, i margini per la difesa sono davvero ristretti. La combinazione tra responsabilità oggettiva e regole di funzionamento del processo sportivo diventa un ostacolo insormontabile da superare anche per il più esperto degli avvocati. Allora, l’unica alternativa plausibile sarebbe quella di patteggiare la pena, ipotesi inaccettabile per chi si proclama innocente ed è deciso a dimostrare fino in fondo la propria estraneità ai fatti. In termini pratici ed in queste condizioni, la scelta si rileva suicida. Come i fatti hanno dimostrato.
Il destino del Napoli, quindi, resta, inevitabilmente, legato a doppio filo a quello di Gianello. Non sono certo tramontate le chance di ottenere una derubricazione dell’illecito sportivo imputato al calciatore veronese in una semplice violazione della lealtà sportiva. In quel caso, la sanzione prevista per il club è una semplice ammenda. Come per le omesse denunce attribuite a Cannavaro e Grava. Così come bisognerà insistere in una valutazione concreta della sussistenza della responsabilità oggettiva. Lo svolgimento dei fatti obbliga a riconsiderare la posizione della società azzurra. D’altronde, “nemo ad impossibilia tenetur” è un principio di civiltà giuridica che ci governa da oltre duemila anni.
Diversa è la situazione dei tesserati, Cannavaro e Grava. Le possibilità di ottenere una riduzione della squalifica, o meglio ancora il totale annullamento, prescindono dalla sorte del loro ex compagno di squadra. Proprio la lettura della sentenza dovrebbe lasciare spazio ad un cauto ottimismo per una rivisitazione della decisione assunta in primo grado.
Il riscontro alle affermazioni di Gianello l’avrebbe dato, secondo i giudici, Grava il quale ha dichiarato davanti al P.M. che le parole del compagno erano state riferite in tono scherzoso, quindi nessuno gli ha mai attribuito importanza. Perciò sembra un po’ azzardato basare la pesante condanna su questa sola affermazione. Lo stesso Cannavaro ha ribadito che non avrebbe mai dato peso a Gianello se avesse fatto battute in ordine a partite da accomodare. Siamo ben lontani dall’ammissione dei fatti contestati. Anzi, le versioni di Cannavaro e Grava dimostrano assolutamente il contrario. In mancanza, non si può non concludere che i riscontri alle chiamate in correità fatte da Gianello sono insufficienti o addirittura carenti. I compagni negano, al massimo hanno percepito che la proposta fosse formulata “ioci causa”, e non l’hanno nemmeno presa in considerazione. Figuriamoci se, sulla base di quella eventuale offerta ritenuta innocua, si sono soltanto prefigurati la possibilità di commettere un illecito.
Peraltro, la commissione disciplinare non ha potuto fondare l’attendibilità di Gianello sulle deposizione dell’Ispettore di Polizia. Quest’ultimo riferisce circostanze “de relato”, cioè che ha saputo dallo stesso Gianello. Altrimenti, in questo processo sportivo sarebbe stato coinvolto anche Quagliarella. Come è facile notare, il circolo diventa vizioso. Non c’è altra conferma alle accuse del portiere veronese. E’ la sua parola contro quella degli altri. Non c’è prova alla veridicità delle sue affermazioni. Perché la Commissione disciplinare non ha creduto a Cannavaro e Grava? Si tratta, in ogni caso, di due stimati professionisti che non sono stati coinvolti in brutte storie di calcio scommesse. Sono “soggettivamente” attendibili, la loro storia e la loro “fedina” sportiva dovrebbero essere elementi decisivi a scagionarli. Si può dire lo stesso di Gianello?
Dispiace, infine, che qualcuno abbia accostato questa vicenda a quella dell’attuale allenatore della Juventus. Il caso di Conte, al di là dei limiti di funzionamento della giustizia sportiva cui già si è accennato, è completamente diverso da quello del Napoli. C’è una bella differenza tra un illecito consumato (al di là delle responsabilità del tecnico bianconero condannato per omessa denuncia) e uno, probabilmente, nemmeno tentato. Addolora il silenzio di certa autorevole stampa che tanto si era battuta per l’innocenza di Conte. Un’altra circostanza sulla quale riflettere.
Ma soprattutto un motivo in più per pretendere che un’ingiustizia venga cancellata. Anche se nel frattempo avrà già prodotto dei danni. La penalizzazione del Napoli e le squalifiche di Cannavaro e Grava sono innanzitutto una grave ferita inferta all’immagine della società azzurra.
Spetterà alla Corte di Giustizia Federale (decisione prevista per la metà di gennaio), ed eventualmente al Tnas in ultima istanza, restituire l’onore (ingiustamente) perduto al club di De Laurentiis.
Avv. Gianluca Spera
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