Edinson Cavani, l’Anti-Eroe. Non un maledetto, niente vita spericolata, alcol e locali sono le parole tabù. In Quello che ho nel cuore parla di Dio, famiglia, umiltà. «La mia infanzia è stata tranquilla e spensierata, vissuta in modo sano e genuino». Si racconta, un’altalena tra Bibbia e pallone: tra le pagine di un libro trova la dimensione per aprire il guscio dei segreti più intimi. Emerge il ragazzo che corre e prega, segna e studia, piange e sogna, per nulla distratto dai milioni e dal successo. Pedalava il Pelato, così lo chiamavano da bambino a Salto (paesino dell’Uruguay ai confini con l’Argentina), perché portava i capelli corti per comodità: anche 5 chilometri in bicicletta per arrivare al campo. Scuole salesiane, gli inizi nel calcio a 5, l’esempio del padre Luis, il fratello Walter calciatore come modello, Batistuta il mito d’infanzia. Il mondo di Edinson in 96 pagine.
La Fede – Gli allenamenti e la preghiera, una famiglia solida e l’amore per la moglie Sole. «Mi chiedono se appartengo a un’associazione: io appartengo a Gesù». La fede significa sacrificio: «E’ dare tutto per i compagni, anche se significa ripiegare e ripartire per 75 metri». Abitua alla sofferenza: dopo due gravi infortuni (ginocchio e caviglia) «ho sperimentato l’aiuto del Signore, potevano risultare fatali alla mia carriera». Poi sembra scrivere quasi sottovoce: «Sono molto severo con me stesso, il non è possibile non appartiene al mio vocabolario».
Il padre – Luis: l’amico, il complice, il sacerdote calcistico. «Per i Cavani il calcio è questione di famiglia: a 4 anni, a Salto, durante gli allenamenti di mio padre presi un pallone e improvvisamente dribbling e tiri». A 5 anni il papà lo avvicina al calcetto, a 14 il calcio a 11: «Non ho mai voluto fare altro, quando il mister mi provò attaccante, ci presi gusto, iniziai a segnare e non mi fermai più».
L’Italia – «Nelle mie vene scorre sangue italiano». Nonno-Cavani nacque a Maranello, emigrato a 3 anni in Uruguay. L’Italia apre le frontiere all’Edinson diciassettenne al torneo di Viareggio, tesserato con il Danubio. «Sognavo di tornare in Italia». Accadrà nel 2007, a Palermo, città per la quale ha «un debito di riconoscenza». Uruguay-Italia solo andata: «Qui mi sono sentito subito a casa mia».
Respiro calcio – Sul vangelo dell’Edinson bambino c’è scritto: «Io sono nato calciatore. Prima d’imparare a camminare inseguivo una palla. In Uruguay ogni cento metri c’è un campo d’erba o di sabbia». Il calcio è tutto, «perfino l’aria che respiro è piena del calcio. Ma la sfida non è tra me e gli altri, ma con me stesso, per arrivare al miglior Edinson». Il sogno di una vita? «E’ stato il Mondiale in Sudafrica con l’Uruguay».
Napoli – Sentite questa: «Tutto mi sarei aspettato tranne che un contratto per il Napoli». Figuriamoci, allora, i 27 gol che seguiranno. Oggi è «la squadra che Dio aveva scelto per me». Napoli, città dove nascerà il suo primo figlio Bautista, «mi ha dato tanto: le canzoni, l’affetto, un’atmosfera idilliaca. Sto vivendo una meravigliosa esperienza con il popolo napoletano». La presentazione al San Paolo è un ricordo indelebile: «Quando ci ripenso ho ancora i brividi per l’emozione». Pillola per Mazzarri: «Se necessario, sarei disposto anche a fare il portiere». Spreco ed oltraggio: buona però per il primo di aprile
Fonte: Gazzetta dello Sport
La Redazione
S.D.