Un difetto emerso nelle ultime settimane, come suggerisce il campo con il Torino e con il Milan, come sottolineato nella passata stagione dal Catania e dalla Juventus, è l’incapacità di gestire il risultato in condizioni di disagio, quando cioé si deve combattere non solo contro l’avversario ma anche contro se stessi, per difficoltà fisiche innanzitutto o persino tattiche, tecniche. Il Napoli non sa congelare i match, non ama starsene a palleggiare in orizzontale, fatica a fare calcoli, ama lanciarsi nelle praterie, provando a sfruttare eventualmente gli spazi concessi per fare d’un contropiede una ripartenza letale. Il pareggio con il Torino è caratterizzato da un episodio, un errore d’un singolo, ma è anche scandito da una flessione evidente della manovra, da una improvvisa prolissità dello sviluppo delle giocate, dalla allergia al pressing avversario, che condiziona e si trasforma in impedimento. E con il Milan, due gol avanti, è apparsa di nuovo monotematica la ricerca del possesso palla, l’appoggio sempre sui centrali e l’assenza di sfogo nello stretto. Il Napoli vive di accelerazioni, di furore agonistico, di fronti che si allargano e di spostamenti delle squadre avversarie con cambi di gioco immediati, capaci di andare a cercare lo spazio da attaccare. Altro non ama (molto) fare.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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