E, alla fine, c’è un muro: un metro e ottanta o su di lì, perché quelli son corazzieri con un fisico bestiale. Ci arrivano con la testa, con i piedi e – per chiudere – con le mani di De Sanctis: e hanno eretto un bunker. Per i migliori attacchi (altrui) c’è la difesa: e in quelle tredici domeniche in cui sono stati mandati in bianco il Palermo e il Catania ma anche la Lazio o l’Udinese di Totò Di Natale, s’è avuta nitida la percezione d’una coesione ritrovata, la presenza attiva del silicone per chiudere qualsiasi fessura.
FUORI I SECONDI – I numeri non mentono mai e la classifica è la testimone fedele d’una verità indiscutibile, osservata dal buco della serratura della porta di Morgan De Sanctis: trentaquattro gare, trentadue reti subite, dodici in più della Vecchia Signora, Sua Maestà, ma sei in meno del Milan, ch’è terzo pure in questa graduatoria che aiuta a leggere negli equilibri d’una squadra tornata ad essere una macchina (quasi) perfetta da cima a fondo, da un palo all’altro. Le statistiche appartengono alla quotidianità, rappresentano anche elemento di studio: sedici reti al san Paolo, altrettante lontano da Fuorigrotta, per ribadire una capacità impermeabile e però anche per inquietarsi dinnanzi a quelle piccole (grandi) disavventure che hanno pregiudicato una presenza sempre più viva nella corsa allo scudetto. Ma è (praticamente) Champions e al Napoli va bene così.
CHIUSO – Al san Paolo, hanno trovato difficoltà insormontabili la Lazio e il Chievo, il Palermo e il Catania, la Sampdoria e il Genoa: divisione equa con quelle create in trasferta a Palermo e Catania, Sampdoria, e Cagliari, Siena, Udinese e Pescara. Balzano agli occhi un paio di curiosità: la prima, ci sono avversari che al Napoli non sono mai riusciti a segnare (il Palermo, il Catania, la Sampdoria); ma agli azzurri non è mai riuscito di fermare una delle prime otto.
LA MALEDIZIONE – Si chiama (soprattutto) Bologna, che ne ha fatti tre a Fuorigrotta (e che dopo settantadue ore è stato capace pure di vincere in coppa Italia); ma la tendenza a castigare il Napoli ce l’ha evidentemente nel codice genetico German Denis, un galantuomo: segna e non esulta mai. Un anno fa il blitz dell’Atalanta aprì una “crisetta” e costò – pure quella sconfitta – l’accesso in Champions: stavolta el tanque ha solo fatto venire un pochino d’ansia e, probabilmente, inconsapevolmente, ha scatenato un moto d’orgoglio, una reazione immediata per scrollarsi di dosso qualsiasi paura.
PORTAFORTUNA – De Sanctis è il titolarissimo per eccellenza, ma alle sue spalle (al suo fianco), c’è un autentico portafortuna, ch’è Antonio Rosati: la principale riserva del numero uno, ha giocato una sola volta al san Paolo (quest’anno con il Cagliari) ma nel computo complessivo delle sue due stagioni partenopee ci sono altre due presenze in trasferta (a Firenze nella stagione passata e a Torino un mese fa: è sempre finita in goleada: 0-3 in Toscana; 3-5 in Piemonte). Insomma: guai negarsi emozioni.
CHE CAPITANO – De Sanctis (per ovvie ragioni) è fuori concorso: Paolo Cannavaro è quello che ha giocato di più (28 presenze e 2506 minuti), qualche giro di lancette in meno per Campagnaro (2413), che sta chiudendo a testa altissima, incurante dell’accordo preesistente con l’Inter. Grava è quello che ha giocato di meno, una sola volta, però mettendo assieme novanta minuti: Rolando è stato in campo tre volte, ma per appena novantaquattro minuti. Dieci calciatori utilizzati (cerano anche Aronica, oggi al Palermo e anche Fernandez, poi al Getafe), trentadue reti subite: il muro è là.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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