BERGAMO – La uno, la due, la tre: si fa un bel dire da dove cominciare, per tentare di metterci le mani, perché in quel Napoli che s’è messo a correre ad handicap, giocando con la Fiorentina una sorta di «ciapa no», l’edizione riveduta e «s»corretta del tressette a perdere, c’è da rompersi la testa per capirci un bel niente. Il deserto di Bergamo è l’ultima tappa di smarrimento d’un girone di ritorno cominciato sciupando a Bologna (in pieno recupero), spremendosi con il Chievo per rimediare un pareggio e poi strapazzandosi da solo, quasi segnandosi tre gol, con l’Atalanta: due punti in duecentosettanta minuti (contro i nove del girone d’andata) e il progetto che resta inchiodato agli interrogativi.
DIFESA – Se sbaglia pure Reina… L’ultimo degli infallibili s’unisce al gruppo, si macera per quella «panzata» che non è da fuoriclasse, dà il suo contributo alla sagra degli errori che si sommano: stavolta, il principio è innanzitutto tecnico, per lui, per Dzemaili che avvia la ripartenza dell’Atalanta, per Inler che disegna una parabola quasi surreale per l’assist a Denis, infine per Fernandez che copre con la morbidezza d’un pan di Spagna su Moralez. E però sono sei reti in tre partite, che diventano ventisei in ventidue giornate, che rappresentano (ancor prima di ieri) la spia d’un allarme evidentemente sottovalutato. E stavolta le dinamiche sono diverse: non ci sono movimenti sbagliati, ma strafalcioni; non è una questione di diagonali, di posizioni, di scivolamenti inopportuni.
CENTROCAMPO – Trovato Jorginho, l’uomo attraverso il quale ragionare e far riposare uno dei due svizzeri sottoposti al massacro di gennaio, Benitez lo lascia in panchina: e ciò lascia supporre che, la Coppa Italia, stia diventando priorità. Ma c’è dell’altro: perché Jorginho, mercoledì in Coppa Italia con la Lazio, offre ad Inler la possibilità di deresponsabilizzarsi, facendolo giocare «libero» mentalmente. Ma il ritorno al passato nuoce tanto al regista facente funzioni, quanto a Dzemaili: e la coppia finisce per scoppiare, perdendosi nelle consegne che le spettano.
ATTACCO – Che comprende pure la trequarti, ovviamente e che non può fare a meno di Higuain: rinunciare a un vice del pipita è stata una scelta programmata, una sorta di filosofia che però è attualmente gracile, nonostante Zapata abbia un fisico statuario. Ma gli manca molto altro ancora: e poi Hamsik va ricollocato (non solo tatticamente, ma anche agonisticamente e dunque fisicamente).
LA CORSA – Il sospetto è lecito, perché il Napoli ha smesso di correre a modo suo (persino in avanti, cosa che faceva benissimo); procede con lo stesso ritmo monocorde, non riesce a cambiarlo, tranne quando accelera sulla corsia: è di una velocità prevedibile, persino di pensiero, attraverso la quale ha finito per pregiudicare i movimenti di chiunque e che favorisce gli avversari ad aspettarlo, tanto la lettura delle giocate diventa semplice.
I CAMBI – Però poi le partite si possono rimodellare in corsa, non necessariamente andando ad incidere sul modulo nel quale si crede e che può restare persino un totem inavvicinabile: è complicato incidere in episodi – non dettagli – che attengono alle sfera personale (perché a Bergamo le tre reti scaturiscono, ognuna, da erroracci del singolo e non del collettivo), ma si può intervenire sulla mentalità, sul cosiddetto approccio, aiutando la squadra a connettere nell’intervallo, ricollegandola con quanto esibito sino a qualche tempo fa ed ora invece incredibilmente sprecato in quel vuoto di memoria che alimenta lo psicodramma collettivo.
Perché quei cento milioni investiti sul mercato, per non perder valore, hanno bisogno d’esser rivalutati con l’accesso in Champions e con un calcio che spinga a credere ci sia sempre un futuro oltre i falò di Rafa
Fonte: Corriere dello Sport
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