Magico numero, il 10. Sinonimo di genio, estro, giocate da sballo. Estasi e tormento degli allenatori. Amore e avversione, dipende dai punti di vista, come i tecnici intendono il calcio.
Quei favolosi anni Sessanta, Napoli e Juve si sfidavano affidandosi rispettivamente al genio indisponente e infinito di Omar Sivori e all’eleganza travolgente di Helmut Haller, il tedesco che sembrava nato appunto da queste parti.
C’era una volta il numero 10. Adesso non c’è quasi più: lontane e inimitabili le magie e le squisitezze di Diego Maradona e Michel Platini e le celestiali visioni proposte da Roby Baggio e Zinedine Zidane. Comunque vada, nulla sarà più come prima, ora che il mitico Del Piero se n’è andato a mostrare le residue magie personali a Sydney. Siamo orfani inconsolabili di Alex e di quel numero di maglia che accende la fantasia dei calciofili di tutte le età. E siccome c’è sempre una prima volta in assoluto, sabato Napoli e Juve non avranno in campo nessun numero 10.
Perché uno vero non ce l’hanno. Forse un giorno se lo procureranno di ritorno: Lorenzo Insigne potrebbe rivelarsi il tipo giusto, un numero 10. Potrebbero diventarlo anche Marchisio e Hamsik, mai dire mai. Pupone Totti è l’ultimo esemplare di classe ancora reperibile su piazza. Una pregiata razza in estinzione, sopraffatta e uccisa dal calciatore muscolare, fisico e corsa. Il genere che va di moda, destinato a segnare anche la supersfida imminente. Al di là dei moduli, Conte e Mazzarri privilegiano il calcio fisico e la tattica, gambe buone e grande energia, piuttosto che l’impiego del numero 10, assente negli organici attuali di Juve e Napoli. Andrea Pirlo? È il massimo, il migliore in Europa, il metronomo al servizio di Madame. Un illuminato, fenomenale regista e organizzatore di gioco, non un numero 10. Il mestiere sublimato da Sivori, Haller, Zidane, Zola, Del Piero, e soprattutto da Maradona e Messi, gli extraterrestri.
Juve e Napoli prive del numero 10: una svolta epocale, un momento storico. Il segnale, la spia che siamo tenuti a ragionare di un altro calcio. Migliore o peggiore? Il tempo dirà. La storia racconta intanto di Sivori e Haller, non importa se una domenica del ’68 decise la sfida una doppietta di Montefusco. L’inatteso, la sorpresa napoletana. E dice pure, la storia, di Cinesinho e Humberto Rosa, imponendo poi la lettura di pagine indimenticabili. Diego e Platini, le meraviglie dell’argentino e le stoccate deliziose del francese. Siamo andati avanti anni e abbiamo goduto a lungo dal 23 dicembre ’84, la prima volta, all’86. A seguire gli anni della decadenza della Signora, costretta ad affidarsi a Rush, Pacione, Galia, Verza, Laudrup, con tutto il rispetto. Laddove Re Diego ha continuato a imperare a Napoli. La Juve in pieno lifting lo sfida con un 10 ucraino, Zavarov.
Torna il bello e con esso le magie. Numeri 10 da manicomio, grandi artisti, Maradona e Roby Baggio, il Divin Codino. Serve altro? Sfida unica, senza repliche, il 6 gennaio del ’90, a Torino. Al ritorno Diego non c’è, addio Napoli. Ma c’è Zola, un vero numero 10 pure lui. Codino e Zolino regalano quattro spettacoli, l’ultima recita nel ’93. Juve-Napoli 4-3, con gol del piccolo grande sardo. Benny Carbone a Napoli è un’immagine sfumata e passeggera. Impossibile il confronto con le raffinatezze e la classe di Del Piero, la quintessenza del 10. Alex e Zizou Zidane in quegli anni; il Napoli non ha nulla da opporre. Del Piero e punto, dal 2000 a ieri. Espatriati lui, la fantasia e i suoi gol, ci scopriamo fatalmente più poveri, noi e la supersfida, per la prima volta senza un giocatore degno di quel numero di maglia. Possiamo solo augurarci che qualcuno, della Juve o del Napoli, provi ad inventarsi numero 10. Hamsik è tenuto a darsi da fare.
FGonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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