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Diego Armando Maradona. Il pittore dei sogni

Era l'artista del pallone

L’hotel Andalus era quasi un fortino assediato. Siviglia era splendida e caldissima. «Parla alle 15» . E la colonia di giornalisti che bivaccava dal mattino quasi alla sera si allertò sapendo che quel giorno qualcosa di decisivo, anzi di definitivo sarebbe accaduto. Diego Armando apparve, circondato dal suo codazzo, dai suoi amici, dai suoi familiari. Le lacrime gli rigarono il volto. I due giornalisti italiani presenti nella sala lo abbracciarono: quello era un addio, non un arrivederci. E gli addii sono sempre dolorosi: non lo avrebbero più rivisto in Italia, non sarebbero stati più testimoni della sua straordinarietà calcistica, del suo talento ineguagliabile (e ineguagliato), di quella sua incommensurabile genialità che sconfinava nel personale autolesionismo. Un tripudio di sentimenti. La sua felicità per il ritorno alla “vita calcistica” dopo la squalifica, contaminata dalla tristezza per il prezzo pagato a quella rinascita: lontano da Napoli, dal pezzo più bello e drammatico della sua vita. Una storia cominciava. Ma sotto il peso di una storia che finiva. Maradona, il Migliore.

FIGLIO – La generazione di chi scrive ha visto poco Pelè e non ha visto Di Stefano. Perciò i confronti sono sempre impossibili. Un grande pensatore contemporaneo ha scritto che si è figli più dei tempi che del proprio padre. Diego, calcisticamente, è stato figlio dei suoi tempi annunciando, però, anche quelli nuovi. Perché lui giocava un calcio a una velocità superiore alla media dell’epoca, è stato Messi ma oltre trent’anni prima e forse per questo Leo non lo eguaglierà mai. Non era un calciatore, era il calcio. Non era un automa, non era un videogioco, era uno splendido, naturalissimo atleta: faceva quello che gli altri potevano solo immaginare. O sognare. Un pallonetto da metà campo, un dribbling cominciato prima della propria metà campo e finito nella porta avversaria per quello che è ancora oggi uno spot del calcio, la copertina di un libro di favole, il gol più bello della storia del pallone raccontata ai bambini per spiegar loro la magìa di questo gioco. Diego era, allo stesso tempo, umano e soprannaturale, con le sue grandezze sportive e le sue difficoltà quotidiane. Santo e diavolo allo stesso tempo, una sorta di personalità bipolare che ha regalato gioia a chi ama il calcio; che ha anche regalato disperazione a quegli stessi appassionati perché la sua Leggenda sarebbe durata più a lungo se solo la vita non gli si fosse messa di traverso e se lui stesso non avesse contribuita a metterla di traverso.
DIVINITA’ – Un grandissimo del teatro, Carmelo Bene, in quegli stessi anni scrisse un libro dal titolo in qualche misura provocatorio: «Sono apparso alla Madonna». Quando il 5 luglio del 1984 lui si presentò sul terreno di gioco del San Paolo palleggiando davanti a settantamila persone che avevano pagato mille lire solo per vederlo, per avere la conferma che sì, era proprio lui il Campione che avrebbe fatto diventare il Napoli una Grande d’Europa, tutti capirono che in quel caso una divinità pagana era apparsa a un popolo abituato a mescolare il sacro e il profano, l’acqua santa e l’acqua pazza. Lui disse poche parole e conquistò il cuore di una città: «Voglio diventare l’idolo dei ragazzi di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires» . E’ stato di parola. Nella sua vita, Diego ha continuato a palleggiare: con un’arancia, con una pallina da tennis (davanti a Djokovic), con il suo destino. Ha vinto la lotteria del calcio e spesso buttato via il biglietto della sua vita. Ha trasformato il gioco del pallone in un’arte: per i colori forti è stato forse Caravaggio; per la friabilità del carattere Van Gogh. Ma sempre di Capolavori unici si tratta.
RICONOSCIMENTI – Ognuno di noi ha i suoi miti, di solito legati alla giovinezza. Oggi è Valentino Rossi, ieri era Giacomo Agostini: oggi è Michael Jordan, ieri era Wilt Chamberlain. Muhammad Alì ha interpretato non solo i nobili e umani carattteri di uno sport che ha ispirato scrittori come Jack London, ma anche lo spirito di un’epoca, sociale e politico. Eppure questo ragazzo un po’ tracagnotto, cresciuto per strada a Buenos Airers, con i capelli ricci e indisciplinati come il suo carattere, che ha regalato a tutti noi gli ultimi scampoli di grandezza di un calcio umano più che semplicemente a misura d’uomo, sarà sempre e comunque la fotografia del gioco che amiamo: lieve, divertente, a volte beffardo sempre unico. Esattamente come lui, come Diego.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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