Samuel Di Carmine, attaccante del Perugia, conosce molto bene l’attuale tecnico dei viola, Paulo Sosa. Il portoghese infatti lo ha allenato ai tempi del QPR e i colleghi de Il Mattino l’hanno contattato per un’intervista riportata sull’edizione odierna del quotidiano:
La Fiorentina in testa alla classifica non è affatto una sorpresa? «Merito di Sousa e del suo lavoro settimanale. Non ti mette mai pressione, ma ti fa arrivare al giorno della partita che sai praticamente tutto dell’avversario, anche i minimi particolari».
La sua qualità più importante? «Essere un grande amico dei calciatori che allena. Con me, ad esempio, andava sempre a cena la sera a fine allenamento e poi si fermava ore e ore per farmi migliorare il tiro. Senza dimenticare quelle partite infinite a calcio-tennis in palestra nelle quali non ci stava mai a perdere».
Niente pressioni prima o dopo la partita? «È un allenatore-giocatore. Ti lascia sereno, sa quando spingere e quando frenare dal punto di vista mentale. Punta tutto sul rapporto con i giocatori».
E poi ha accumulato la giusta esperienza allenando in giro per il mondo… «Vedere culture diverse fa bene, ogni campionato ti insegna modi diversi di affrontare le partite. Dalla Premier, ad esempio ha saputo portare in Italia il pressing alto. Rispetto alla Fiorentina di Montella che pure giocava un bellissimo calcio, questa di Sousa è una squadra che non molla mai e lotta su ogni pallone anche oltre la propria metà campo».
Da fiorentino si sente soddisfatto della scelta da parte della società di puntare su uno come lui? «È l’uomo giusto per una piazza così. È un allenatore preparato che fa giocare bene le sue squadre senza mai rinunciare alla sua mentalità offensiva».
Eppure Firenze è una pizza difficile che a giugno aveva accolto male Sousa. «Fin da quando è arrivato ho sempre pensato che avrebbe fatto bene e infatti rivedo nel gioco gli stessi metodi che usava con noi al Qpr. Poi ha dalla sua dei giocatori tecnicamente straordinari che sicuramente aiutano nel lavoro e nel raggiungimento dei risultati importanti».
E se dovesse arrivare un momento di difficoltà? «Non glielo auguro, ma conoscendolo so che saprebbe uscirne con abilità perché è bravo e soprattutto è molto diplomatico».
Di sicuro non rinuncerà al suo modulo. «Per lui è un punto fisso. Gli piace avere tanti giocatori che sanno toccare bene la palla facendola girare velocemente, ed una punta di movimento in grado di creare spazi peri compagni».
E poi non ha paura… «Non è un allenatore che guarda l’età anagrafica dei suoi giocatori. Avevo 19 anni eppure mi faceva giocare anche se in rosa c’erano ragazzi con molta più esperienza di me. Se uno merita gioca, questa è la sua filosofia».
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