Swindon, 130 km ad Ovest di Londra, la città dei «roundabouts», le rotatorie: era destino che la carriera calcistica di Paolo Di Canio dovesse ripartire dall’Inghilterra. «Qui misento a casa mia». Paolo allena lo Swindon, League Two (la quarta divisione). Una tifoseria calda, una Coppa di Lega in bacheca, un’apparizione in Premier League nel 1993-94, uno staff italiano (Piccareta, Donatelli, Doardo e Panarese), quattro «paisà» (Comazzi, Lanzaro, Cibocchi e De Vita) in campo: la cornice è questa.
Di Canio, perché Swindon?
«Perché è una sfida affascinante. Quando incontrai il presidente, dopo cinque minuti per me era già fatta. Ho aspettato solo di parlare con mio padre Ignazio. Lui era felice della mia scelta e allora ho firmato».
Dov’è il fascino dello Swindon?
«Mi piace ripartire da zero in un posto in cui ci sono le premesse per lavorare ad un progetto serio. In Inghilterra l’allenatore è un manager a tutto campo. Ho un budget per il mercato, governo uno staff. Se fallisco, è colpa mia. Se va bene, ho azzeccato tutto. Il nostro obiettivo è la promozione. Qui è un’altra musica rispetto all’Italia».
Anche qui se gli allenatori vanno male sono licenziati.
«Sì, ma decidono gli allenatori e non i direttori sportivi. Nel calcio italiano comandano loro, però se le cose vanno male saltano i tecnici».
Il primo discorso alla squadra?
«Voglio concentrazione massima in allenamento. Non accetto atteggiamenti rilassati».
Il calcio italiano visto da qui?
«Ho firmato quando stava esplodendo lo scandalo scommesse. Queste vicende sono figlie di un sistema sbagliato. In Prima e Seconda divisione circolano contratti finti, con giocatori pagati in nero. Ci sono calciatori che stipulano un mutuo per la casa e all’improvviso si ritrovano senza stipendio. Scommettere è una conseguenza. E’ moralmente esecrabile, ma quando devi sfamare la famiglia, non hai scelta. Pagheranno i calciatori, mentre le istituzioni resteranno al loro posto».
La novità del calcio italiano è la Roma agli americani.
«E’ una trattativa infinita. Non vorrei che si rivelassero quelli che a Roma definiamo “piottari”».
Totti resta l’unica certezza.
«Se Roma e Juve si aggrappano ancora a Totti e Del Piero, poi capisci perché il calcio italiano è in crisi. Uno ha 35 anni, l’altro 37. In campo serve gente che corre».
Che cos’è che divide veramente Totti e Di Canio?
«Io amo le sfide, lui vuole essere sempre protetto. Io esploro il mondo, lui si muove solo con la sua tribù».
Il mercato della Lazio?
«La Lazio non potrà mai competere con le grandi. Klose ha 33 anni, Cissè ha fatto molti gol, ma in Grecia. Ed è arrivato Cana perché è albanese come Tare».
Lotito ha acquistato la Salernitana.
«Ecco un chiaro esempio di situazione sulla quale le istituzioni dovrebbero vigilare. Perché Lotito ha investito a Salerno? Quali sono i suoi veri interessi?».
Il gesto che Di Canio non rifarebbe mai?
«La spinta all’arbitro che mi costò una lunga squalifica».
Rifarebbe il saluto romano?
«Non è vietato. Leggete bene la Costituzione. Ai politici che dicono che la politica non deve entrare nel calcio, rispondo: siete voi a buttarvi per primi nel calcio».
Di che cosa è orgoglioso della sua carriera?
«Ho sempre dato il massimo. A me stesso e alla squadra».
Il suo pensiero su Balotelli?
«E’ sempre in guerra con il mondo. Uno come lui dovrebbe sorridere alla vita e invece sembra che voglia distruggere la sua fortuna».
Fonte: Gazzetta dello Sport
La Redazione
S.D.
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