In Inghilterra c’è un cuore che batte forte per il Napoli calcio. La passione calcistica di 3D, alias Robert Del Naja, leader dei Massive Attack, è nota e brucia nella città di Bristol dove la band regina del trip hop mosse i suoi primi passi all’inizio degli anni Novanta. Come suggerisce il cognome, Del Naja ha ascendenze italiane: “Non ho scelto io di tifare il Napoli, il fatto è che la mia famiglia è campana e la prima volta che visitai Napoli andai direttamente allo stadio San Paolo: immaginavo fosse il modo migliore per conoscere la città. Il calcio ha la caratteristica di lasciar trasparire in maniera immediata l’anima di un popolo: rimasi impressionato dai colori e dalla passione“. Del Naja quando può torna allo stadio San Paolo, la passione per il Napoli è ancora intatta, proprio come quella per il Bristol City Football club, ma il musicista non ci sta a vedere il calcio italiano distrutto dal razzismo e dalla violenza: “Uno stadio chiuso è prima di tutto un affronto alla civiltà“, osserva. E così ci tiene a far sapere che l’esperienza del calcio nel Regno Unito potrebbe essere d’aiuto anche negli stadi italiani.
Il calcio inglese ha superato brillantemente la sua fase violenta, oggi nel Regno Unito gli stadi sono luoghi per famiglie.
“Sfortunatamente in Inghilterra ci sono voluti eventi drammatici e terribili negli anni Ottanta per spingere a cambiare radicalmente la situazione, per porre un freno al tifo violento e al fenomeno degli hooligans. E non è stato solo un cambiamento per il mondo del calcio, è stata una vera e propria trasformazione culturale che ha richiesto molte energie e molto tempo. Il calcio viveva un momento opprimente, gli stadi non erano un posto semplice in cui trascorrere una giornata, erano fuori controllo, c’erano cori razzisti e molta violenza. Dopo le tragedie dell’Hillsborough Stadium di Sheffield e dell’Heysel a Bruxelles, nelle coscienze di tutti fu chiaro che la penalizzazione dei club in tutta Europa era eccessiva e difficile da sopportare per i tifosi, tra operazioni di polizia, interrogatori durissimi, arresti a tappeto per scoprire gli hooligans e le organizzazioni che li sostenevano“.
Furono misure drastiche ma non crede siano state necessarie?
“Fu la reazione ad essere positiva. Uno degli elementi di cambiamento fu la presa di coscienza collettiva, quando cioè i volontari e gli steward assunti dalle società si presero letteralmente sulle spalle il controllo degli spalti, e quel controllo giorno per giorno spinse i fan ad auto-regolamentarsi e a spingere verso i margini quella che venne definita la “minoranza vociante”. Pur sapendo che fosse violenta e razzista venne ridotta a semplice “minoranza vociante” e senza il seguito dello stadio, perso il controllo degli altri tifosi, i tifosi violenti si resero conto di essere ai margini, il loro atteggiamento rinunciò a violenze e provocazioni“.
Fu solo la presenza degli steward sugli spalti a realizzare questo cambio culturale?
“Fosse stato violento, l’atteggiamento degli steward non avrebbe avuto lo stesso effetto anzi avrebbe potuto suscitare l’effetto opposto, la loro avrebbe potuto esser intesa come una presenza provocatoria. In quel modo, invece, vennero percepiti come parte del pubblico, sollecitarono un sentimento comune, la voglia di trasformare lo stadio in un posto sicuro per riportare al calcio le famiglie, i più giovani, i ragazzi, per condividere insomma un momento di divertimento. Non stadi vuoti e vietati, ma una passione, un’emozione, un posto in cui ci si potesse alzare in piedi per cantare in coro senza essere perseguiti. C’è voluto tanto tempo in Inghilterra, forse il problema della violenza non è ancora completamente risolto ma molto è cambiato, da allora”
Sulla panchina del Napoli c’è Rafa Benitez, che ha avuto una lunga esperienza con il calcio inglese.
“Certo, è stato al Liverpool per 6 stagioni, e la società del Liverpool è stata coinvolta in due delle più gravi tragedie ndegli anni Ottanta, sia allo stadio Hillsborough di Sheffield sia all’Heysel. Dopo quegli eventi, i club inglesi vennero messi al bando in Europa e così tutti vennero puniti collettivamente, anche chi allo stadio andava pacificamente, per vivere un momento di festa. Fu però necessario che succedesse per produrre un cambio culturale, perché non è mai facile fare un cambio di mentalità a livello individuale“.
E Benitez cosa potrebbe fare per questo?
“Potrebbe essere un perfetto ambasciatore, in questo senso. Benitez capisce la pena delle famiglie dei tifosi del Liverpool, la loro lunga battaglia per avere giustizia per le vittime, la terribile e lunga campagna di odio dei giornali. Potrebbe avere una grande influenza nel rapporto tra club e tifosi per fare di Napoli e dei suoi tifosi una vera comunità. La posizione dello stadio, proprio al centro della città, potrebbe essere un fattore positivo in questo senso, diventare un vero centro di aggregazione sociale proprio come gli stadi in Inghilterra o in Spagna, ad esempio.
In questi ultimi venti anni il calcio è diventato un industria, non è tardi per poter sperare in un cambio così radicale?
“Il calcio è nulla senza la partecipazione della comunità: la squadra appartiene alla gente e alla comunità, non il contrario. Certo il football è stato commercializzato specialmente negli ultimi venti anni, tra sponsor, brand, diritti televisivi, la pressione della società economica. La comunità è stata messa ai margini. Ma uno stadio senza pubblico è nulla, e così il calcio senza tifosi. Certo i fan restano l’ultima ruota del carro, ma senza di loro con lo stadio vuoto non c’è la stessa atmosfera, lo stesso divertimento, e infine lo stesso business, questo dovrebbe spingere le società a fare comunità“.
Cosa le suggeriscono gli ultimi eventi del calcio italiano, tra violenze e razzismo?
“Dal punto di vista di un appassionato inglese non sembra che in Italia i club si stiano prendendo cura delle tifoserie nel mondo giusto né che facciano nulla per isolare le vostre “minoranze vocianti”. E così, non facendo nulla o facendo poco, lanciano messaggi sbagliati, sembrano tollerare e in qualche modo appoggiare i violenti e i razzisti. Al tempo stesso non sembra che in Italia le associazioni federali del calcio facciano abbastanza, o quanto è in loro potere, per punire i club per quanto dovrebbero. Per questo la situazione va avanti in questo modo. Bisogna agire contro le minoranze violenze per tutelare la maggioranza dei tifosi onesti, bisogna saper fermare chi usa i cori razzisti e violenti, anche solo isolandoli, solo così si può rendere di nuovo il calcio sicuro. E gli stadi luoghi in cui esprimere la passione liberamente, perché l’antagonismo tra squadre è sano, la rivalità tra città non si può cambiare, ma bisogna puntare sulla parte sana e positiva dell’antagonismo tra città e team“.
fonte: repubblica.it
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