«Ma che so’ Rambo io, che me metto a assalì n’autobus da solo»? Il tono aggressivo del teste non fa che aumentare la tensione all’interno dell’aula bunker di Rebibbia, dove Danielino De Santis (l’ex ultras giallorosso a processo per l’omicidio del tifoso del Napoli Ciro Esposito e per il ferimento di altri due supporters partenopei) ha acconsentito ad essere interrogato in aula. Appollaiato su una lettiga, con una gamba visibilmente più corta dell’altra a causa delle tante operazioni subite dall’imputato dopo la maxi rissa esplosa nelle ore precedenti alla finale di coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, De Santis risponde alle domande di pm e avvocati e racconta la sua verità su quel 3 maggio. Ed è una verità (la sua) piuttosto lontana da quella ipotizzata dalla Procura. «Quel giorno mi sono svegliato verso le 12. A casa mia c’erano due ragazze che avevano passato la notte con me e continuavano a dormire. Sono uscito fuori a giocare con i cani e poi sono andato al bar a mangiare qualcosa. Poi sono tornato a casa e solo qualche ora dopo sono uscito di nuovo per andare a comprare dei panini alle ragazze. Quando sono uscito la seconda volta – racconta ancora De Santis – mi sono accorto subito che a Tor di Quinto era scoppiato il casino. Da casa mia si vedevano i fumoni e si sentiva un gran chiasso. Io di stadi ne mastico, e ho capito subito di cosa si trattasse. Allora sono andato verso il cancello dal lato del Ciak Village per chiuderlo. A terra era pieno di fumogeni, pietre e altro e io ho raccolto un paio di fumoni e li ho ritirati indietro. Ma non mi sono mai mosso dal cancello, la strada stava a trenta metri e da dove stavo io ho iniziato a fare gesti ai pullman per farli spostare da quella zona perché erano pieni di tifosi e nel circolo sportivo dove faccio il guardiano c’erano le partite dei più piccoli ed era pieno di bambini».
I pm Di Maio e Albamonte sostengono invece che De Santis non fosse solo in quel frangente (almeno altri quattro tifosi della Roma, ancora indagati per concorso in omicidio, sarebbero stati presenti quel pomeriggio ad incitarlo); che contro gli autobus lo stesso ultras si fosse scagliato per fomentare una rissa e che la pistola con caricatore pieno e matricola abrasa che ha sparato fosse già in mano a De Santis: circostanza negata decisamente dall’imputato che ripete più volte «Non avevo la pistola, non avevo la pistola».
Le contestazioni dell’imputato arrivano anche quando la procura ritorna sull’assalto all’autobus: «Ma che so’ Rambo io, che me metto a assalì n’autobus da solo? Io ero solo quel giorno – dice con tono di sfida De Santis rispondendo alle contestazioni del pm – e quando ho capito che le cose stavano peggiorando ho provato a richiudere il cancello, ma mi avevano già accerchiato e quando mi sono voltato ho preso una bastonata e due coltellate e sono caduto. Io non avevo capito chi fossero: per me potevano essere fiorentini o cinesi, solo dopo ho saputo che erano napoletani. Hanno iniziato a picchiarmi, non so per quanto tempo. Ho provato a muovermi ma sono ricaduto e in quell’attimo ho visto uno di loro, il loro capo, una persona alta e grossa più di me, che si avvicinava a me con una pistola in mano girata dalla parte del calcio. Gli ultras non usano le pistole. Mi ha colpito alla testa con l’arma e io, con la forza della disperazione, gli ho agganciato il braccio e sono riuscito a disarmarlo. Non so come ho fatto probabilmente mi ha aiutato il fatto che faccio karate da quando sono piccolo. A quel punto, quando ho sentito di avere la pistola in mano, ho sparato. Non so quanti colpi, per me in quel momento poteva essere un colpo come ottocento, non mi rendevo conto. L’avvocato mi ha detto che erano 4 ma io non me lo ricordo. Non ho visto dove sparavo, a causa delle botte ero una maschera di sangue e non vedevo niente ela gente continuava a picchiarmi. Mi hanno quasi ammazzato e ho molta rabbia dentro perché per due anni tutti mi hanno dipinto come un mostro e io non sono un mostro. Non sapevo di avere colpito qualcuno. Poi mi hanno picchiato di nuovo e sono svenuto. Solo dopo ho saputo di Ciro Esposito; penso sempre a quello che è successo e mi dispiace per la morte di Esposito». Mentre il racconto di Danielino su quegli attimi terribili prosegue, la madre del giovane di Scampia si protegge dietro un paio di occhialoni neri mentre il padre del ragazzo esce più volte dall’aula passando proprio vicino all’assassino reo confesso del figlio.
De Santis parla per quasi due ore, incalzato dal pm e anche dai legali di parte civile e dagli avvocati degli altri imputati.
Fonte: Iltempo.it
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