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De Sanctis e il suo segreto: “Vorrei essere un attaccante”

Il portiere azzurro tiene i piedi ben saldi a terra e contro l'Inter vuole fornire un'altra bella prestazione

Cercasi sicurezza in porta, ma non più disperatamente. E sì, perché anche quella è stata presto ritrovata assieme a parecchie altre. Unitamente a quella di un attacco che riesce ad offrire (sempre più) svariate soluzioni realizzative, a quella di un centrocampo che ha trovato equilibri quasi perfetti. Alle garanzie di quelle fasce dove si è tornati a far gioco a velocità supersonica e, dulcis in fundo, a quelle di una difesa, semplicemente seconda del campionato. Tra le riscoperte più attese e sollecitate, ma finalmente arrivate quando il gioco per la Champions s’è dovuto per forza di cose indurirsi, c’è quella di un numero uno che ha dato tantissimo nei tre anni, dieci mesi e due giorni di azzurro, che ha accompagnato il Napoli nelle meravigliose galoppate di Champions e Coppa Italia (vinta). Nonché nella (preponderante) buona e cattiva sorte.

SEMPRE PRESENTE – Lui, Morgan De Sanctis, il Pirata Barbarossa, c’è stato sempre e con tutto se stesso, dispensando consigli, sciogliendo pillole di saggezza, ma soprattutto infondendo sicurezza. Non solo al reparto di competenza, ma all’intero organico. Poiché anche la presenza nello spogliatoio (oltre che in campo) del filosofo di Guardiagrele, è risultata fondamentale e determinante. E se ci sono stati momenti di impasse, piccoli scampoli di appannamento, peraltro del tutto fisiologici, Morgan è riuscito sempre a fare due passi avanti dopo quello indietro. A respingere con pugni saldi, non solo palle “velenose” in campo, ma anche critiche ingiustificate o eccessive, interpretazioni del suo modo di essere e di reagire, partite talvolta da menti visionarie o contorte.

IL MORGAN-PENSIERO «Piedi ben saldi a terra, e il cuore sempre oltre l’ostacolo». Così rispose una volta Morgan a chi gli domandò: “cosa scriveresti dietro la maglia, sotto al tuo numero?”. Oltre ai piedi il portierone ha anche, e sempre avuto, pensieri e desideri ben saldi. Da quando ad otto anni iniziò a giocare in porta, per “esclusione”, al “Torneo Scarabocchio“, nel suo paese, alle giovanili del Pescara, sino alle avventure estere in Spagna col Siviglia e Turchia col Galatasaray. Ampliando di continuo i suoi orizzonti: «Tanto tempo fa non ci tenevo a giocare fuori dalla porta, oggi penso che a volte mi piacerebbe non essere portiere per dare una mano, anzi un piede, ai miei compagni in attacco». Ecco il vero spirito di squadra, nello stile che più gli si adatta. Dopodomani sera sarà guardiano azzurro per la 174esima volta (146 in campionato, più di Zoff), per mettere al riparo anche dagli spifferi quella porta che non vorrebbe più lasciare sino a fine carriera. Anteponendola anche a quella della nazionale.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.

 

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