Il “vecchio” che avanza, prodigiosamente, verso il futuro s’è messo in testa un’idea meravigliosa: e mentre intorno va di moda la rottamazione, quel trentaseienne (a marzo) si sfrega le mani, aspetta il Genoa e osserva quel puntino azzurro che in lontananza l’invita a crederci ancora. «Io sogno di restare qui e di chiudere la mia carriera a quarant’anni a Napoli». Le parole le porta via il vento e però le trascina con sé, ovunque, su qualsiasi campo: Marassi oggi, il san Paolo sabato sera, poi in Svezia ed ancora al Fuorigrotta, ma quel desiderio pubblico – riconfessato in privato in tempi non sospetti – è il traguardo che Morgan De Sanctis sente a portata di mano, tra quei guanti che hanno deciso di afferrare il futuro e tenerselo incollato al petto.
IL RECORD – Centocinquanta partite: quante sono? Tre anni e pochi mesi a testa alta, infilandoci dentro di tutto, le qualificazioni in Europa League, quella in Champions League, poi la coppa Italia inseguita e trasformata (in epoche diverse) nel volano attraverso il quale ripartire: «Voglio vincere qua» . Centocinquanta De Sanctis e tutti d’un fiato: con trentotto gare su trentotto per due campionati e una sequenza di partite consecutive fermatasi a novantanove, al “Franchi” di Firenze, alla vigilia della prima sfida con il Chelsea, un’amarezza custodita faticosamente per settimane intere.
LO SCORE – Il calcio del Terzo Millennio è frantumazione, è turn over, è sperimentazione settimanale: ma il De Sanctis che in Genoa-Napoli s’accinge a superare il traguardo è un mostro di regolarità, un’insaziabile cannibale che senza adrenalina non sa stare e che per il biennio iniziale – nonostante le difficoltà – ha scelto di resistere silenziosamente, sistemandosi nel bel mezzo della sua area di rigore per afferrare (semmai) persino gli spifferi della insoddisfazione di san Siro, quando nell’intervallo, sul 3-0, c’è un po’ di caos. Finisce tutto lì, perché quando arriva Mazzarri comincia una nuova era e c’è un portiere che diviene una sicurezza, che riscopre il piacere d’essere padrone della propria retroguardia.
I LOVE NAPLES – Volere è potere e Morgan De Sanctis arriva a Napoli quando ormai aveva smesso di crederci: estate 2009, Pierpaolo Marino versa un milione di euro al Siviglia e si porta a casa un Nazionale, che rimarrà tale negli anni, arriverà al Mondiale in Sud Africa e poi agli Europei del 2012, passando da Lippi a Prandelli in scioltezza, trasmettendo ad entrambi certezze ed affidabilità, garantendo un pieno di sensibilità. Ma prima di ritrovarsi al San Paolo, nelle serate spagnole, per annusare il profumo d’una città che aveva dentro dalla giovinezza, se ne va al ristorante Vesuvio, osserva le gouaches alle pareti, solletica il destino, mangia napoletano, racconta di Diego Armando Maradona e di se stesso: «Io ho un solo desiderio nella mia carriera, adesso: voglio giocare con quella maglia che mi attrae da quando ero un bambino».
INSUPERABILE – Ma la storia chiama e per scolpire il proprio nome serve un primato, un’impresa: lo è l’imbattibilità interna di 799 minuti, che sgretola di trentasei primi il precedente di Luciano Castellini, inavvicinabile da ventotto anni ed afferrato da un De Sanctis che sistema il proprio autografo in quello stadio “dei sogni”.
CONTRATTO – Ma non finisce qua, perché quella relazione d’amorosi sensi sta per andare oltre il quadriennale stipulato nel 2009: a giugno, il vice di Buffon va ritenuto (teoricamente) libero e a parametro zero, ma è cominciato da un bel po’ il piano d’avvicinamento per rinnovare il contratto, per assecondare la fame d’un «cannibale» che sa bene ciò che deve fare e sa persino sino a quando si può fare. Perché non c’è bollino di scadenza e soprattutto perché se la vita (ri)comincia a quarant’anni, ne restano ancora quattro per chiudere la propria porta azzurra: «Io spero di poter finire con questa squadra la mia carriera».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.