Vincenzo De Luca, Presidente della Regione Campania, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera:
«Dal 3 giugno liberi tutti, dice il premier. Io dal 2 ragionerò per capire a che punto è il contagio. E comunque che significa liberi tutti se abbiamo ancora curve epidemiologiche alte in alcune parti dell’Italia?»: il governatore della Campania Vincenzo De Luca non le manda a dire. Non è il suo stile. Non ha firmato, come altri suoi colleghi, l’intesa con il governo, perché ritiene che quell’accordo sia solo un esempio dell’italico gioco politico dello «scaricabarile» e chiede al ministro della Salute Roberto Speranza dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte di assumersi le loro responsabilità.
Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, lei ha deciso di non firmare l’accordo con il governo, perché?
«Abbiamo condiviso il documento delle Regioni. Ma riteniamo che il ministero della Salute abbia il dovere di dettare linee guida per garantire le condizioni di base prioritarie per la sicurezza dei cittadini. Questo punto non è stato accettato e non abbiamo firmato».
Governatore De Luca, quindi si può dire che lei non ha firmato perché pensa che il governo non abbia fatto la sua parte? In parole povere, secondo lei Giuseppe Conte vuole scaricare la responsabilità della fase 2, e delle sue eventuali conseguenze in termini di contagio, sulle Regioni. È questa la sua impressione?
«Penso di sì. C’è stato un misto di finzione e di irresponsabilità. Per quello che ci riguarda lunedì non apriamo né i ristoranti né i pub né i mercati. Apriremo giovedì per preparare con serietà le condizioni di igienizzazione e poi di sicurezza per i clienti, in questi tre giorni».
Siamo passati in modo repentino dal lockdown, con tutte le restrizioni del caso, a un regime di «semi-apertura», da oggi l’Italia riparte, ma lei ha paura del «tana libera tutti». Non pensa di esagerare in prudenza, non è che siete voi governatori che non volete assumervi le vostre responsabilità?
«Il passaggio alla ripresa piena della vita economica e sociale era nelle cose. Ma ci siamo arrivati nel modo peggiore, moltiplicando elementi di confusione e di pericolo futuro. Io vedo un Paese nel quale ormai si sono drammaticamente abbassate le barriere protettive, e in cui tutte le “prescrizioni” rischiano di rimanere lettera morta, perché nessuno controlla più nulla. È bene dire ai nostri concittadini con estrema chiarezza, che da oggi la vita delle persone e delle famiglie è legata soltanto alla responsabilità dei comportamenti individuali».
Il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia qualche giorno fa ha lanciato un altolà alle Regioni: non potete fare da sole. Ora invece vi dicono che tocca a voi decidere. L’ha stupita questo cambiamento di rotta del governo?
«È una posizione francamente sconcertante quella espressa dal governo. Cosa significa questo finto e tardivo rispetto per le autonomie regionali? Perché allora non lo si è fatto dal 4 maggio? La verità è che non si è retta l’onda d’urto delle categorie, di qualche Regione, del mondo produttivo che spingeva per aprire tutto. Io credo che dobbiamo aprire tutto, ma per sempre, senza pericoli di ritorni indietro, e in modo ordinato e semplice. Mi preoccuperei oggi di scongiurare la responsabilità penale per gli imprenditori in caso di contagio dei dipendenti. Mi preoccuperei di fare una sburocratizzazione radicale del Paese. Ma se i presupposti sono 21 indicatori sanitari da mandare a Roma ogni settimana — una cosa demenziale, che ripropone di nuovo la centralizzazione — allora davvero non andremo lontano».
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