E’ il Terzo Millennio e non c’è tempo per perdersi nella malinconia, per lasciarsi sedurre dalle emozioni e poi abbandonarsi con le delusioni: è una vita spericolata, consumata a velocità supersonica, e quel calcio in bianco & nero è una scheggia del (recente) passato che scivola via nell’archivio della memoria e resta un neo, un punticino che galleggia nel vuoto. « Ormai sono trascorse quarantotto ore, che per me rappresentano un’eternità: bisogna resettare tutto e io non ricordo neppure com’è andata ». Domani è (indiscutibilmente) un altro giorno e in quel futuro da cogliere con l’ottimismo e con la volontà, nell’orizzonte azzurro che Aurelio De Laurentiis ha scelto di tuffarsi da un decennio, l’ira (funesta) Il presidente carica il Napoli e anche Callejon rilancia «Il torneo è lungo e noi abbiamo fame»non ha cittadinanza e la rabbia è una
presenza inconsistente già soppressa con l’orgoglio: « Ma quale ridimensionamento del Napoli? Ma gli altri, scusate, cosa dovrebbero dire ».
L’AMBIZIONE – La Juventus è (per ora) un dodicesimo stagionale, l’incidente di percorso che non incide sulle aspirazioni, non induce al pessimismo, non scatena vittimismo: e in quel 3-0 che resta, ha un peso e pure un valore tecnico, c’è però la provvisorietà d’una sentenza che De Laurentiis consegna ai posteri per una sentenza (calcistica, sia chiara) ancor tutta da scrivere e lontanissima dalla certificazione. « Ma io mi sento al settimo cielo ». La Roma a quattro punti, la Juventus a tre; e, voltandosi, più tre sull’Inter, più quattro sulla Fiorentina, prima che s’apra la voragine e spacchi il campionato in due. « E infatti: allora gli altri cosa dovrebbero dire? ».
LA RISPOSTA – Ma il calcio è altro ancora: e in quel Grande Barnum che resta in piedi un giorno sì e l’altro pure, le dinamiche della comunicazione, le sfide dialettiche, le strategie mediatiche si intrecciano e si sviluppano seguendo percorsi non sempre agevoli. Juventus-Napoli è andata, 3-0 e tutti a casa: e quando il fiele del post-partita è svanito, e non s’avverte nient’altro che l’eco di ciò ch’è successo in campo, le (contro)provocazioni vengono deliberatamente bandite da De Laurentiis, evangelicamente proteso a svelenire il clima d’un sabato e d’una domenica improvvisamente gravido di tensione: « Le parole di Conte? Ma fa parte del calcio….E poi Gesù Cristo dice: porgiamo l’altro guancia… ».
CORI STONATI – Il resto è senso civico, è un’analisi più ampia del calcio e di quel fastidioso contorno che si chiama razzismo e che diviene – nel gergo della giustizia sportiva – discriminazione territoriale: Juventus-Napoli è un capitolo, uno dei tanti, d’un «tomo» che contiene altri «casi»; e ci sono «Vesuvi» o i le offese o gli insulti o l’intolleranza che però De Laurentiis ritiene di derubricare nel suo buonismo di giornata in ironia da stadio. « Quando sento che migliaia di persone si scatenano con frasi irripetibili. io non lo trovo disgustoso: semplicemente lo ritengo uno sfottò e ci rido sopra. Ma possiamo discutere sul Vesuvio che dovrebbe ricoprire tutto: pure questo per me è uno sfottò, che nel calcio esiste da sempre. O, semmai, un incitamento per una città che da anni, da secoli, aspetta il risveglio ».
OLE’ – E la scossa, verbalmente, arriva immediatamente dalla Spagna, dal Futbolista, e da un Callejon che talvolta non la prende larga, non se ne sta defilato, ma affonda centralmente e sceglie il profilo altissimo per lasciarsi scivolare la Juventus di dosso, forse per togliersela dalla testa: « Ciò che accade ora non è determinante: abbiamo davanti a noi rivali fortissimi, che però dovranno affrontarsi in scontro diretto. E poi il torneo è lungo e noi abbiamo fame: in questo Napoli sono arrivati calciatori che sono abituati a sopportare il peso che spetta ai favoriti e l’obbligo di dover vincere. E la nostra esperienza è stata trasmessa a compagni che, come noi, vogliono raggiungere grandissimi traguardi ». Claro, chiarissimo…
Fonte: Corriere dello Sport
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