La Grande Bellezza è in quella dimensione eterna che si coglie dal Gianicolo, nell’orizzonte mozzafiato d’una città con pochi eguali, nella suggestione da Oscar così fashion emanata dall’evocazione d’una pellicola, dal prato verde di Villa Aurelia che diviene il “palcoscenico” della American University of Rome, dal magnetismo che la toga ed il tocco offrono in un’atmosfera magica per la quale non c’è età: sessantacinque anni e non sentirli affatto, ritrovandosi proiettato nella giovinezza ch’elargisce la “Laurea honoris Causa, Doctor of Humane Letters” e che spalanca ad Aurelio De Laurentiis il gusto d’una retrospettiva di se stesso per «aver fornito il suo contributo all’impresa italiana ed internazionale nel campo del cinema e dello Sport» . La Grande Bellezza è nel rito d’una cerimonia che scolpisce mezzo secolo d’impegno manageriale, avvolto tra la cellulosa ed il cuoio e racchiusa in una frase cult, «stay hungry, stay foolish» in cui c’è l’Italia, c’è l’America, c’è la Napoli che De Laurentiis infine lascia riecheggiare nel discorso – in inglese – per illuminare l’orizzonte ed assaporarlo appieno: «Gli esami non finiscono mai» . Da Eduardo a Jobs, ci sono vite che scorrono.
Cosa prova il dottor De Laurentiis scoprendo d’essere laureato ad honorem in Lettere Umanistiche?
«E’ un riconoscimento che ringiovanisce ma è anche un attestato che inorgoglisce. E’ un premio per il lavoro svolto ma, per me che ho sempre considerato gli Stati Uniti come la terra in cui ognuno può espandere i propri orizzonti, è anche un ruolo – magari piccolissimo – in questo sogno italo-americano».
Da una parte il produttore, dall’altra il manager, il presidente d’una delle squadre più amate.
«Sono due mondi con esigenze differenti. Il cinema è complesso, in questo momento molto di più, però dà soddisfazioni che si proiettano nel tempo e persino le valorizza; il calcio è bulimico: vincere non basta, finito un campionato ne comincia uno nuovo e la gente è sempre affamata di successi. Il football brucia il successo in un attimo. Io questi dieci anni nel Napoli li ho vissuti in maniera entusiasmante, ho rinunciato a realizzare film americani ma non ne sono pentito. Per niente».
Siamo in continua evoluzione e De Laurentiis va di corsa.
«Ho scoperto, negli Usa, il potere di coinvolgimento della tv, che in passato mi pareva meno dirompente. Mi sono innamorato della forza narrativa, dell’esaltante e straordinaria capacità delle serie tv che diventano il mio prossimo impegno. E ne ho già cinque in studio».
Salga in cattedra e dia un voto al suo Napoli.
«Otto».
E a Benitez?
«Otto»
Il suo allenatore è stato interpellato dal Valencia.
«Vuole che non conosca le regole del gioco. Non mi stupisco, né mi inquieto».
Tra un Oscar ed uno scudetto, De Laurentiis su cosa punterebbe?
«Sarebbero eventualmente emozioni diverse eppure eguali, perché entrambe restano – resterebbero – nella Storia. Ma so anche che mentre un Oscar è per sempre, uno scudetto è per un periodo breve: se pensiamo al Barcellona, al Manchester United, che hanno vinto un’infinità di titoli ed ora sono in lievissima difficoltà e devono sopportare le pressioni della sconfitta, ci rendiamo conto dei riflessi contrastanti tra questi due universi».
La Coppa Italia cosa le ha lasciato dentro?
«Una amarezza indomabile, perché da tre settimane c’è un ragazzo che combatte tra la vita e la morte in ospedale e ci sono stati altri giovani feriti. La delusione per non aver visto attuato quel piano preventivo che nel 2012 venne messa in pratica dall’allora Questore di Roma, il dottor Tagliente. Quella fu una operazione di intelligence che prevenì».
C’è la discriminazione territoriale e quella razziale.
«C’è semplicemente da riscrivere le leggi del calcio, però in fretta. C’è da rendersi conto che abbiamo sprecato quel tempo che invece in Germania ed in Inghilterra è stato utilizzato per interventi massicci e salvifici. C’è da analizzare seriamente il fenomeno della violenza e risolvere, così come altrove hanno fatto con gli hooligans. C’è da interrogarsi sulla modernità della legge Melandri. C’è da scuotersi, perché il Ministero degli Interni sta uccidendo il calcio. Scusate, ma qual è la differenza tra discriminazione territoriale e razziale? L’una non è figlia dell’altra? E la responsabilità oggettiva?».
Chiede che la politica venga in soccorso.
«Chiedo a Delrio, che è un uomo di indiscutibile intelligenza, ed ha la delega per lo Sport, e a Renzi, che è una furia, di interessarsi seriamente d’un problema annoso, sul quale niente è stato fatto. Penso a tutto quello che è successo: all’omicidio Raciti, alle manifestazioni che hanno mancato di rispetto verso le Istituzioni. Siamo un Paese immobile e non capisco per quale motivo non si è proceduto ad attivare iniziative che persino un bambino avrebbe lanciato».
Il Napoli è a modo suo un miracolo calcistico-imprenditoriale?
«Nessuno, in Italia, negli ultimi cinque anni è sempre stato presente in Europa. Abbiamo superato l’inferno della serie C; dalla B sino ad oggi è stato completato un percorso straordinario, nel rispetto del fair-play finanziario».
Sa cosa le chiede la gente…
«Io capisco i desideri popolari, ma ho il dovere di ragionare diversamente, altrimenti se volessi accontentare tutti dovremmo comprare cinquanta giocatori, e forse neanche basterebbero. Se mi giro, e ripenso all’ultimo campionato, quello nel quale abbiamo dovuto fronteggiare una serie di incidenti straordinari, mi viene il sospetto che forse – senza tutti questi attacchi della malasorte – avremmo fatto addirittura meglio in campionato e magari anche in Champions. Nel calcio ci sono variabili che altrove non registri».
Cosa ha in testa ora?
«Rinforzare il Napoli assieme a Benitez. Vediamo cosa succede al Mondiale, per cominciare. E comunque siamo lucidamente proiettati nel futuro».
Un altro colpo Higuain è ipotizzabile?
«Intanto ci siamo goduti anche Callejon e Mertens. E comunque un altro arrivo del genere ci sarà. Però mi piace anche sottolineare che quando abbiamo preso Zapata s’è diffuso scetticismo: e invece il ragazzo ha segnato, ha mostrato di avere qualità».
C’è un nome ricorrente.
«Ahò, m’avete fatto na capa tant con Mascherano….».
E’ andato al cuore del problema e del centrocampo…
«Se facciamo una squadra di undici Mascherano, tra due anni saremmo punto e a capo. Comunque Benitez lo conosce, sa che la trattativa è complicata: chi ce l’ha se lo vuol far pagare e lui ha un contratto non proprio in linea con i nostri parametri. Però, Rafa, lasciami fa’ ….».
Vuol dire che si può dialogare.
«Vuol dire che si può negoziare, che c’è un negoziato da affrontare. Ma Mascherano ha trent’anni: vediamo se il Barcellona si siede al tavolo e con quali intenzioni; se il calciatore sente il richiamo della maglia, perché io non voglio gente che venga solo per soldi. Questo, poi, vista l’età dell’argentino, è un investimento diverso….».
L’Inter è interessata a Behrami: cederà mai un calciatore ad una diretta rivale per la Champions?
«Intanto non penso che l’Inter sia una diretta concorrente per la Champions; e comunque, dovesse prendere Behrami, non è certo che si qualificherebbe. Per me nessuno è in partenza e se arriveranno offerte le valuteremo. Ma per il momento nulla è fattibile».
Cosa rappresenta il mercato?
«A volte mi sembra un concentrato di luoghi comuni. Mi dicevano, un tempo: non conviene comprare dalla Spagna, quelli che sono stati importati in Italia hanno sempre fallito. E noi invece ci abbiamo visto giusto. Ma poi penso ad altro: penso a Mesto, che Benitez ha scoperto anche nella sua polifunzionalità; ad Henrique, che è arrivato da noi dalla B ed ora va al Mondiale. Purtroppo qui c’è la tendenza ad essere distruttivi. Nel calcio è vero tutto ma anche l’esatto contrario».
Reina è un piccolo caso.
«Ho parlato con il suo manager e gli ho fatto un’offerta; ho parlato con Pepe e l’ho guardato negli occhi; poi c’è anche il Liverpool…Ma se Reina ritiene giusto andar via, può andare: noi abbiamo Rafael che ha dimostrato di essere all’altezza e qui, in quanto a portieri, come dimostra anche il recente passato, non abbiamo mai avuto problemi».
Sta per tornare Maradona a Napoli.
«Diego è il calcio: e lo è prima lui, poi Pelè. Sarebbe un sensazionale ambasciatore per un football migliore e può venire quando vuole, con quella faccia da gitano, assai cinematografica, uomo d’una furba intelligenza».
Che non avrebbe ceduto Lavezzi e Cavani.
«Ma lui ragiona come un tifoso e merita assoluto rispetto. Non entro nel merito della discussione, però se lo facciamo poi bisogna procedere anche con delle valutazioni, con delle motivazioni. E può darsi che non sia dipeso solo da noi, che altri abbiano scelto di andare».
Tra le sue battaglie, cambiare i format dei campionati.
«Una serie A con sedici squadre, una B con sedici squadre, una sola retrocessione, dopo spareggio tra l’ultima della Serie A e la prima della B. Pensate al Catania, che nel finale ha vinto tanto: magari se la sarebbe giocata con la sfidante arrivata dai cadetti».
Fonte: Corriere dello Sport
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