C’è differenza tra un calciatore normale, anche forte ma assolutamente normale, e un Campione? Cambia qualcosa tra un ottimo professionista, allenato, attento e concentrato, un affidabile centravanti su cui si può contare, con ambizioni e sogni da coltivare, e uno baciato da un superiore talento? Se sì, lo si può vedere in un secondo. Un semplice secondo, un singolo scatto di lancetta, una frazione di tempo nella quale si può racchiudere ed esemplificare un’intera esistenza. Ricapitoliamo: si sono schierati a centrocampo, c’è stata la famosa musichetta da brividi, in esito alla quale tutta la città, compreso quelli seduti sui divani davanti agli schermi, hanno invocato The Champions, sperando siano quelli in maglia azzurra. Poi la palla ha cominciato a circolare, e piove, e i tedeschi in giallo sono fortissimi, hanno vinto tutte le partite dall’inizio della stagione e sabato all’Amburgo ne hanno fatti sei, e l’anno scorso hanno chiuso da vicecampioni eliminando addirittura il Real Madrid.
Ecco: il Real Madrid. Con tutta l’incredibile sequenza di campioni assoluti, con tutte le centinaia di milioni di euro complessive tra ingaggi e valori di mercato: sbattuti fuori da questi tedeschi in giallo, determinati a dimostrare che il calcio è pur sempre uno sport di squadra, che con una seria e articolata organizzazione, rigorosamente studiata in ogni singolo particolare, si smantellano pure i campioni. Vero. Dimostrato. Ma se si arriva al dunque, la differenza la fa il Campione; e la fa con quel talento che lui ha e gli altri no. Come una spezia segreta, un guizzo di fantasia che fa in modo che il Grande Chef serva un piatto che nessun altro serve. Il guizzo. Un movimento inatteso, rapido e scattante, come dice il dizionario.
Ed è così che, dopo ventotto minuti e trenta secondi, sul calcio d’angolo che proviene da una serpentina di Zuniga sulla quale un difensore giallo ha messo una pezza, lo stesso Zuniga scambia con Insigne; e da una posizione su cui nove volte su dieci non arriva nulla di buono, una posizione arretrata e con la difesa schierata, approfittando di essere un destro che gioca a sinistra Zuniga alza lo sguardo e osserva chi c’è sul secondo palo. E decide che forse, alla fine, qualcosa di buono può pure arrivare se prova a metterla in mezzo. E la mette, lenta e un po’ a spiovere, perché è l’unico modo e in fondo i tedeschi hanno sbattuto fuori il Real, l’anno scorso, e magari qualcuno di quelli sbattuti fuori ha ancora qualcosa sullo stomaco, e si vuole liberare.
Fin qui lo spiovente di Zuzù, alla resa dei conti una grande idea, ma solo perché sul palo lontano c’è appollaiato un condor che tiene ben presente la definizione del dizionario, ben sapendo che il guizzo c’è solo se c’è un Campione che lo può far fruttare.
E così, sullo spiovente inutile nove volte su dieci, a difesa schierata, con due difensori davanti, con un’eliminazione mai digerita e una partita difficile da schiodare, con un fantasma uruguaiano da cento e più gol da esorcizzare, con una squadra da prendersi sulle spalle, con sessantamila cuori presenti che saltano un battito e un paio di milioni nel mondo, il Campione si avventa, salta e si torce in aria. Il Campione lo sa che la calamita di quel pallone è nell’angolino della rete, dove la mano protesa del portierone tedesco non può arrivare, che non avrà una seconda possibilità. Il guizzo. Una torsione sicura, il colpo perfetto, fronte piena, nessun errore, nessuna palla sporcata o deviata per caso, no: piena consapevolezza, certezza dell’obiettivo, sicurezza del risultato.
Il Campione, se ha un’occasione, non se la perde. Il Campione sa bene cosa fare, e lo fa. Il Campione, prima ancora di sentire l’immenso boato di gioia, prima ancora di vedere i tedeschi che si guardano smarriti, sa di aver schiodato la partita, esorcizzato il fantasma e vendicato lo smacco dell’anno scorso. Dieci volte su dieci, quella palla va in rete.
E il Campione parte verso la curva e verso l’amore dei compagni. Perché dieci volte su dieci, il colpo del Campione si trasforma in amore puro.
Fonte: Il Mattino.
La Redazione.
D.G.
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