Tu lo sai, che la memoria di un tifoso è fatta di momenti. Lo sai, perché di momenti così ne hai regalati tanti al tuo popolo, diviso in due moltitudini al di qua e al di là dell’oceano Atlantico. Sai quanta gente ha pianto, vedendoti alzare i tuoi trofei al cielo, quante persone povere e derelitte hanno conosciuto dai tuoi piedi magici di Indio e Scugnizzo il meraviglioso sapore della rivincita. E siccome lo sai, lo avrai riconosciuto, ieri sera, il momento d’oro che rimarrà nel cuore azzurro. Sei arrivato quando il tuo Napoli, di cui sei e rimarrai per sempre il Capitano, era già in vantaggio; ma la partita era aperta, ancora aperta, e la Roma sorniona amministrava la necessità del golletto che certamente avrebbe fatto, per agguantare il match e metterlo sui binari giusti. Ma sei arrivato tu, con un tempo di ritardo, piccolo e gigantesco in un nugolo di amici, guardie del corpo e avvocati, gli occhi neri luccicanti che dardeggiavano sguardi attorno per riconoscere casa tua, per sentirti di nuovo a casa tua. E una scossa elettrica ha percorso spalti e schiene, e milioni di occhi in giro per il mondo hanno brillato come i tuoi, perché il Re era di nuovo a palazzo, e qualcosa stava per succedere.
Siamo napoletani; conosciamo il mare e il dolore, sappiamo quanto è amaro il sapore della sconfitta e inevitabile la sofferenza. E proprio per questo, perché lo sappiamo, ricordiamo bene il gusto paradisiaco della vittoria; e sentiamo tremare l’aria, come per un suono che vibra al di sotto della soglia della percezione umana ma che si sente in petto.
Ieri sera, quando sei entrato in casa tua, anche l’erba del campo ha avuto un fremito, e si è orientata verso di te. I ragazzi hanno sentito l’urlo della passione, hanno riconosciuto lo sbalzo della tensione che è diventata altissima e si sono girati verso la tribuna, gialli e freschi come girasoli; e hanno capito. Hanno capito tutto. Allora, in pochi minuti, è successo quello che Benitez aveva voluto e finora mai compiutamente avuto, undici pitbull assatanati lanciati all’inseguimento della vittoria. In pochi minuti, al cospetto del suo unico Capitano, la squadra ha deciso che stasera, in questa magica, splendida sera, c’era da costruire un momento da ritagliare e incollare sull’album dei ricordi indelebili, al fianco di quelli mai sbiaditi di un nano gigante che irrideva palla al piede gli avversari, recitando un copione che solo lui conosceva e trasformando al suo cospetto umili e volenterosi compagni in assoluti fuoriclasse. E quel momento è arrivato.
La tua gente ha visto, come un fuoco d’artificio, una stella partire da te, là in tribuna, e cadere in mille stelle in campo; e ti ha visto felice saltellare come allora, quando il tuo Gonzalo si è avventato come un falco su un pallone vagante; e c’era il tuo piede, come una possessione, in Mertens e Jorginho quando hanno confezionato il de profundis per una Roma fino a ieri fortissima e ora umana, molto umana, anche a dispetto di telecronisti tutt’altro che imparziali. Ma ancora non era quello, il momento. Il momento è stato un attimo dopo, quando è scemato l’urlo della belva trionfante e felice e lo stesso urlo si è mutato nel Coro, il tuo Coro, quello che suona come un canto di nostalgia tenera e appassionata. Oh mamma, mamma, mamma, ha cantato la tua gente. Come allora. E molti non erano ancora nati, ma c’erano nei sogni e nella passione dei loro genitori, e hanno ascoltato i racconti a bocca aperta, sognando di esserci, sognando di poterli vivere.
C’era bisogno, sai, di una vittoria così. Con lo scudetto ancora lontano, almeno per quest’anno, ma con tre competizioni ancora da giocare e da vivere, ce n’era bisogno. Perché la concreta possibilità di alzare una coppa è quello che serve per capire di essere forti, di essere all’altezza. E noi siamo stati sempre all’altezza, quando ci sei stato tu. Grazie per ieri, Capitano. Grazie per aver guardato vincere i tuoi ragazzi, in mezzo alla tua gente.
Fonte: Il Mattino.
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