Ma che cos’è il Mito? Tecnicamente, una narrazione investita di sacralità i cui protagonisti sono dei, o eroi. Magari, il nucleo iniziale è costituito da un personaggio realmente esistito o da un evento storicamente accertato, che poi, nella tradizione orale e scritta tra le generazioni, si ammanta di fantasia e immaginazione fino ad assurgere a qualcosa, appunto, di mitico.
Certe volte, però, l’entità del personaggio o dell’evento, il moltiplicarsi delle narrazioni, l’impatto su un popolo particolarmente incline a crearsi degli ideali possono accelerare il processo, e costruire un Mito anche in pochi anni. Non si può negare che sia questa la materia di Tre volte 10, di Davide Morganti (ed. Ad Est dell’Equatore, presentazione odierna alle 18 alla Feltrinelli Express); si parte da qualcosa di esistente, di storicamente avvenuto, e addirittura da un personaggio tuttora vivente e costantemente sopra le righe, per definire i contorni mitologici di un ideale, di un modello per un popolo allora vincente che spera di ridiventarlo.
Il calcio è una metafora della vita, e viceversa. È quindi naturale che l’unità di misura del funambolismo, della realizzazione dell’impossibile, della vita vissuta al di sopra e al di sotto dei propri mezzi diventi materia forgiabile nelle mani di un narratore. Il Numero Dieci per eccellenza, quello che abbiamo avuto l’immeritato beneficio di veder calcare vittorioso la nostra erba, è entrato a far parte del nostro codice genetico; come Napoli è sicuramente l’unica città sudamericana al di fuori del Sudamerica, Lui è stato il più Napoletano tra chiunque non sia nato nella cinta urbana. Lo stesso Dieci, del resto, è il numero della magia: quello che, esterno a schemi e inquadramenti, deve portare in campo quel qualcosa in più, quella differenza, quella diversità in grado di far vincere la partita, nel calcio come nella vita.
Tre racconti, più uno (questo libro – dice Morganti – finisce ai tempi supplementari). Nel primo, fantastico, parla il piede destro del più Grande Mancino di tutti i tempi; la frustrazione, l’invidia, l’odio del mediocre al cospetto del Genio. Meno che Salieri, di fronte a più di Mozart. Nel secondo, Lui si converte all’Islam in aperto conflitto con un Papa che non riconosce superiore in nulla. Nel terzo, è un agente al servizio della Madonna.
Chi come il sottoscritto lo legge e lo ammira, sa che Davide Morganti è il più talentuoso e funambolico degli autori napoletani; e sa che il calcio, il Genio, il nero delle anime e il Sacro sono i suoi argomenti, quelli tra i quali si muove assolutamente a proprio agio. Tutti questi fattori scendono in campo in questi surreali racconti, nei quali un linguaggio narrativo sudamericano anima storie in cui il magico diventa reale e tutto è spiegabile alla luce della follia. Il Genio del calcio diventa Genio e basta, un essere al di fuori, né superiore né inferiore al prossimo ma perennemente esterno a esso, insofferente di qualsiasi limite gli venga posto che non sia il cielo.
Merito all’editore, Ad Est dell’Equatore, che sempre più va imponendosi come il posto della narrativa originale e del limpido talento; un luogo dove il modo di raccontare fuori dagli schemi e dagli obblighi commerciali trova casa, e ci sta comodissimo. Grazie davvero, da parte dei lettori stanchi di essere nutriti con insapori omogeneizzati, e pretendono qualcosa di finalmente autentico.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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