L’avevamo lasciato il 3 maggio 2014 seduto a cavalcioni della recinzione dello stadio Olimpico di Roma, da dove convocò il capitano Marek Hamsik sotto la curva per ricevere rassicurazioni su Ciro Esposito (il tifoso del Napoli ferito a Tor di Quinto e morto 52 giorni dopo) prima di dare il suo assenso all’inizio della partita. È spuntato fuori di nuovo martedì pomeriggio alle 17 a Napoli, vico Finale, Borgo Sant’Antonio Abate, due passi da Forcella. Parlava con dieci persone, tutte fermate e poi rilasciate come ha rivelato il quotidiano Roma. Argomento della discussione, sospettano gli 007, la rissa di domenica sera al San Paolo finita con un accoltellato. Ché — nonostante l’arresto, la condanna e il Daspo che lo tiene lontano dallo stadio — Gennaro De Tommaso, meglio noto come Genny ’a carogna, continua ad esercitare il suo potere in curva A. E sui radar della Digos, che monitora le frange più estreme del tifo, continua ad apparire come «leader indiscusso» dei Mastiffs. È lui a convocare le riunioni. È lui ad avere l’ultima parola. È lui a dettare la linea.
Il ritorno in scena di Genny ’a carogna nasce domenica sera e ha a che fare con la complessa geografia del tifo della curva A, dove i Mastiffs — seppur meno potenti di un tempo — continuano a restare i capi, gli unici che possono «lanciare» i cori durante la partita. È per questo che, quando durante Napoli-Sampdoria gli ultras del Rione Sanità aggrediscono quelli di Forcella per mandarli via, il gruppo di Gennaro De Tommaso interviene. Accade tutto nella parte bassa della curva, dove c’è l’imbocco per le scale che portano all’uscita: è lì che si regolano i conti, cercando riparo dall’occhio delle telecamere del San Paolo. Una rissa, nulla di più. Ma le risse, in curva, sono mal tollerate. Accendono i riflettori della Digos, rovinano gli affari legati allo spaccio di droga, portano ai Daspo. E, soprattutto, hanno come conseguenza immediata il rafforzamento dei controlli ai tornelli, il che impedirebbe a molti ultras di entrare gratis (come accade adesso) all’interno dello stadio. È per questi motivi che i Mastiffs intervengono per sedare la lite. Sono i capi. Solo che, per la prima volta nella storia della curva, le regole vengono infrante. Il gruppo viene aggredito nel suo settore, ci scappa qualche schiaffo, spuntano fuori anche i coltelli.
Due giorni dopo, martedì, entra in scena De Tommaso. Lui ovviamente parla di «incontro casuale» (e non è stato fermato, non avendo commesso alcun reato), ma gli 007 sono certi che quelle dieci persone che erano con lui siano state chiamate per fornire spiegazioni. Il rischio, senza una risposta a quell’aggressione, è che i Mastiffs perdano potere, scalzati da nuovi gruppi che rivendicano il ruolo di leader della curva. Ed è per questo che De Tommaso ha riunito tutti. Il messaggio è stato esplicito: «Adesso come ci dobbiamo comportare?». Ma non è un messaggio di pace, perché l’alternativa è la reazione — violentissima — da parte dei Mastiffs.
A oltre un anno di distanza dalla trattativa dell’Olimpico, insomma, De Tommaso continua a essere quel capo ultras che il gip di Roma Rosaria Monaco il 22 settembre di un anno fa definì, mandandolo agli arresti, «leader carismatico». Uno che «dà direttive al gruppo come un comandante in capo che conduce i propri sottoposti», che «impartisce ordini per il compimento delle attività più pericolose», che regola i «conflitti interni ai tifosi». E — sebbene non sia mai stato indagato per associazione mafiosa e non risulti in alcun modo collegato a ciò che sta avvenendo tra Forcella e la Sanità — il suo nome fu citato dal pg di Roma Antonio Marini durante l’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario a proposito dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel mondo del calcio: «Un episodio di questo tipo si è verificato con Gennaro De Tommaso, un fatto grave e sconcertante».
Lui, oggi, è un uomo libero nonostante la condanna a due anni e due mesi emessa il 29 aprile per resistenza a pubblico ufficiale e scavalcamento della recinzione dell’Olimpico. E libero, in fin dei conti, Genny ’a carogna lo è sempre stato, al punto che lo stesso gip romano — nel provvedimento con il quale disponeva gli arresti domiciliari — arrivò a tacciare di «indulgenzialismo diffuso» i magistrati napoletani. «A Gennaro De Tommaso, pregiudicato e recidivo, sono sempre state concesse attenuanti generiche, sospensione condizionale della condanna e estinzione della pena per indulto, in un’ottica che a parere di chi scrive non si giustifica ed è da aborrire». E in carcere, De Tommaso, effettivamente non c’è mai andato, se non per una notte. La prima volta (agosto 1994) il tribunale per i minorenni lo riconobbe responsabile di rapina aggravata e lesioni personali, ma gli riconobbe le attenuanti generiche e sospese la pena di un anno. Storia analoga nel secondo caso (1997), quando De Tommaso fu condannato per un furto: anche in quell’occasione, infatti, l’imputato ottenne il riconoscimento delle attenuanti generiche e la sospensione della pena di sei mesi. La terza sentenza (2001) lo giudicò colpevole di ricettazione: otto mesi, ma la pena fu poi dichiarata estinta per l’indulto.
Ora, dopo la condanna per quella serata di follia a Roma, Genny ’a carogna è tornato. E, tra i vicoli del Buvero di Napoli, ha condotto la sua ultima trattativa. Lontana da quelle telecamere che accesero i fari sull’Olimpico. E decisamente più pericolosa.
fonte: corrieredelmezzogiorno
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