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Dall’Ara, stadio portafortuna degli azzurri

Sembra un curioso scherzo del destino: ogni volta che il Napoli si trovi a lottare per qualcosa di importante, il calendario gli riserva la trasferta a Bologna. E il «Dall’Ara» diventa snodo cruciale della stagione, teatro dove recitare da protagonista, arena in cui dare il tutto per tutto e puntare decisi alla vittoria. E’ capitato già due volte, sempre nel mese di aprile e sul rettilineo finale: nel ‘90, allorchè bisognava vincere per tenere alla larga il Milan dalla lotta per lo scudetto, e lo scorso anno quando i tre punti servivano per insidiare di nuovo i rossoneri per il titolo e garantirsi quantomeno la qualificazione diretta in Champions. In entrambe le occasioni, lo stadio di Bologna si è trasformato come in un amuleto per i partenopei: due vittorie indiscutibili, due successi inequivocabili, due colpacci preziosissimi. Non c’è due senza tre, si dice. Ma fa bene il Napoli a caricare di significati questa sfida che può valere la permanenza in Champions per il secondo anno consecutivo.

CLIMA IDEALE – C’è un fattore non trascurabile che spinge il Napoli a tentare l’impresa al «Dall’Ara». Sugli spalti troverà un ambiente poco ostile, per non dire di simpatia. Anzi i buoni rapporti tra le due tifoserie favoriranno l’afflusso di migliaia napoletani anche stavolta. Ce n’erano circa ventimila nell’anno in cui si festeggiò il secondo scudetto (grazie alla concomitante sconfitta del Milan a Verona); quindicimila lo scorso campionato; diecimila e forse anche di più stavolta. E’ un feeling che nasce da lontano e che è andato cementandosi di anno in anno. Affinità caratteriali a parte (stessa giovialità nell’interpretare la vita), Bologna e Napoli si sono scambiate spesso giocatori e allenatori per cui è scattata una sorta di fratellanza tra i due club che è durata nel tempo. Si parte da Bruno Pesaola che dopo aver vinto uno scudetto con la Fiorentina e relativo «seminatore d’oro», se ne andò sulla panchina del Bologna dove restò per sette campionati vincendo una coppa Italia (nel ‘74). «Un altro dei miei amori indimenticabili», ama ricordare il Petisso. Proseguendo con Antonio Juliano che volle chiudere la sua carriera sotto le Due Torri. E poi Beppe Savoldi, Eraldo Pecci, Bruno Giordano, Marangon, Tarantino, fino ad arrivare ai giorni nostri con Miguel Angel Britos e chissà, forse anche Ramirez. Un via vai di calciatori da una sponda all’altra che ha fatto sì che i tifosi delle due squadre instaurassero nel tempo una sorta di gemellaggio spontaneo.
NEL NOVANTA – Era quello, un Napoli che voleva ad ogni costo cancellare gli anni bui che avevano fatto seguito al primo scudetto e soprattutto prendersi una rinvincita con il Milan di Sacchi. A Bologna, gli azzurri guidati da Albertino Bigon, papà di Riccardo, l’attuale ds, passarono a vele spiegate e festeggiarono praticamente il secondo scudetto a una giornata dal termine (l’ultima era in casa con la Lazio). Quel giorno ai ventimila napoletani festanti si aggregarono i bolognesi sia allo stadio sia per le vie della città.
LO SCORSO ANNO – Fondamentale era diventata anche la sfida dello scorso campionato: il Napoli continuava a tampinare il Milan. Tre vittorie di fila, mancava la quarta e tra l’altro non c’era Cavani per squalifica. Eppure gli azzurri, trascinati da quindicimila tifosi, riuscirono ad imporsi con Mascara e Hamsik, fortificando il secondo posto in classifica che poi portò alla qualificazione in Champions. Quella fu la quarta vittoria consecutiva del torneo, non accadeva dal 1995.
DALL’ARA OGGI – Anche oggi il mitico stadio di Bologna si trasforma in un crocevia di sogni. Il Napoli è chiamato a vincere per confermare il terzo posto (solo così potrà impedire il ritorno di Udinese e Lazio) e risedersi al tavolo della Champions.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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