Subito un sudamericano. Argentino per l’esattezza. E come se no. Il Pampa Sosa primo acquisto del nuovo Napoli. Settembre 2004, la scena da raccontare. Non c’era nulla: solo carte bollate del tribunale. Pier Paolo Marino ebbe il guizzo. Pensò al Pampa: «Vieni, ricominciamo con te. Non ti pentirai». Così fu. Sosa azzurro per amicizia, conoscenza passata, valore, e forse, un po’, perché era naturale puntare su di lui. Questione di tradizioni. Napoli latino da sempre. Il gene, scugnizzo. L’anima partenopea. Però calcisticamente contaminata, influenzato, arricchita dal talento e l’allegria sudamericana. Una storia lunga ottantotto anni. Uomini e personaggi d’oltreoceano. Fuoriclasse, ma anche bidoni. E’ stato così anche nell’era De Laurentiis. Dieci anni divisi in due cicli. Sosa il colpaccio per la serie C. Inacio Pià la spalla agile e scattante. Ma arrivarono pure tal Leandro (volante) dalla Salernitana e Machado Toledo, esterno d’attacco: spesso tanto “largo” da agire al di là della linea laterale. Vicino alla panchina. Napoli sudamericano nel DNA. Da Sivori, Altafini e Clerici. Maradona e Careca. Questione di feeling, di un’empatia viscerale, di una condivisione di stati d’animo e passioni. Vinicio, Pesaola e Canè arrivarono a Napoli giovanissimi, sono ormai scugnizzi coi capelli bianchi. Qualcosa in più, e di diverso, delle solite storie di mercato. Di interessati rapporti di collaborazione. E’ letteratura di un calcio che è diventato poesia. Amori struggenti. Dolori quando sono andati via. Lavezzi il Masaniello della rinascita, Cavani il bomber da ostentare ed esaltare. L’era De Laurentiis: colpi, colpacci e colpetti. Datolo, Navarro e Fideleff a verbale. Però pure, e ancora, Gonzalo Higuain. E Fernandez, Henrique e Andujar: l’ultimo sudamericano di un mercato che sembra però aver ormai svoltato, ridisegnato le sue rotte, messo bandierine qua e là per l’Europa. E’ un Napoli (inter)continentale. Insigne la radice che non si strappa. Un po’ di italico pallone e tanta Spagna. E Svizzera, Francia, Belgio e Inghilterra. Anche sul mercato. Nei profili degli obiettivi più intriganti. Negli identikit di giocatori seguiti, monitorati e approcciati. Stile, scelte e un calcio definito. Più Champions, forse. Di sicuro, diverso. La “saudade” sudamericana ormai potenzialmente guaribile in due ore di volo. Ora si parte, si va a casa e si torna in due ore: la nostalgia non è più canaglia. Napoli europeo con tracce residue di latino. Che però restano e fanno la differenze. Pochi ma buoni. Pepite d’oro. Anzi, Pipita. Ventuno gli stranieri in organico. Col numero che oscilla come i flussi delle trattative. Tanto Sudamerica. Però l’Europa che avanza, da titolare. Pure nei sogni del mercato. L’Euro moneta delle trattative. Contatti, ipotesi, scenari e prospettive in continuo cambiamento. Il belga Fellaini, gli spagnoli Javi Garcia, Suarez e Camacho. E poi Kramer il tedesco di Germania campione del mondo. E Fer l’olandese. Passaporti comunitari, esperienze Champions, abitudini, conoscenze e ritmi simili. Meno le lingue. Ma Benitez il poliglotta le parla tutte. Pure se nello spogliatoio vuole soltanto l’italiano. Una lingua, una squadra. Salvo chiacchierate individali e approfondite. Con Koulibaly usa il francese di casa: quello della Signora Monsé, sua moglie. Michu è l’asturiano proveniente dalla Premier: duttile in campo e anche nei dialoghi. E poi corrente e fluido si sente il castillano, un po’ di catalano, la parlantina “mista” di Mertens, il dialetto ormai acquisito dagli svizzeri, Hamsik e Pandev. Il resto un esperanto sudamericano sempre più europeo. Per curriculum, provenienze calcistiche e prospettive. Napoli made in UE. Svolta per la Champions.
Fonte: Corriere dello Sport
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