In Italia, lo si ricorda soltanto per un cammeo con la maglia dell’Ancona nella stagione 2003-2004: vecchio, ingrassato, imbolsito, sembrava lontano anni luce dal bomber che aveva fatto sognare i tifosi di Porto e Sporting Lisbona. In Brasile, invece, Mario Jardel, due volte Scarpa d’Oro nel 1999 e nel 2002, è ancora un mezzo mito. Lanciato da Felipao Scolari nel Gremio, l’ex attaccante viene spesso tirato in ballo per commentare le prestazioni della Selecao. Oggi lo ha fatto a “Lance”, arrivando, però, a sorpresa, a confessare come stia cercando di uscire dal dramma personale della dipendenza dalla droga. Iniziato, tra l’altro, quando era ancora giocatore. “Se non avessi avuto questo problema con la cocaina, starei ancora giocando a calcio – ha raccontato Jardel -. Tutto è iniziato a causa di cattive amicizie, della fine di un rapporto e della depressione. Mi sentivo depresso perché non avevo nessuno che mi stesse vicino in un momento in cui avevo bisogno. Nel 1997, mio padre morì per un problema cardiaco e mia madre, ancora oggi, è alcolizzata. Così, nel 1998, a Fortaleza, durante le vacanze, ho sniffato per la prima volta. Giocavo ancora nel Porto“. Jardel racconta, poi, come abbia fatto a non finire nella trappola dell’antidoping. “Facevo uso di cocaina soltanto nelle vacanze – ha precisato -. Il medico ed il fisioterapista della squadra ne erano a conoscenza, perché gliene avevo parlato. Ogni giorno, prima dell’allenamento, mi sottoponevano a degli esami e sono stato chiuso un mese in ritiro per recuperare”. Adesso, Jardel si sta sottoponendo ad un percorso di disintossicazione. “Vado dallo psichiatra una volta a settimana, frequento la chiesa, sono evangelico e prendo medicine, anche se sto cercando di farne sempre meno uso – ha concluso -. E’ una lotta quotidiana“.
Fonte: Tuttomercatoweb |
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