DEBUTTANTI. Udine è la cartina di tornasole d’una precarietà già palpabile in quel trimestre grigio, settimane estive spese ad aspettare che evolvesse qualcosa, in attesa del giorno buono, ma senza industriarsi a scorgere soluzione alternative. Udine è a modo suo (e al di là delle riflessioni che può scatenare una sconfitta) la dimostrazione che progetto vuol dire altro, ma questo già si sa..: Koulibaly ne combina un’altra, come a Genova, lascia il pallone nelle competenze altrui, ma almeno sottolinea che ha margini di milgioramento che più o meno si vedono partita dopo partita; Michu ondeggia senza una mèta e costituisce un interrogativo al quale comunque si potranno cercare risposte; poi ci sono David Lopez e De Guzman, il last minute per occupare le caselle vuote, però arrivati lasciando che fosse Benitez a raschiare il fondo del mercato.
INEVITABILE. Nulla succede per caso e in questa Napoli sottosopra, che s’è accorta di ritrovarsi in una classifica rovesciata rispetto alle proprie intenzioni (ed al valore indiscutibile dell’organico), riemerge quella forbice che va da giugno ad agosto utilizzi per fare un po’ a pezzettini ciò ch’era stato costruito nel passato, lasciando che dal cestino dei ricordi riemergessero non soltanto le intuizioni per arrivare a Ghoulam, ad Henrique ed a Jorginho ma anche lo spreco d’energia e di capitali per sottoporre Donadel ad un quadriennale, per prendere al volo Santana a parametro zero, per inseguire ciò ch’era in antitesi con la propria identità tecnico, tattica e manageriale.
BLACK OUT. Però erano chiarissime le zone sulle quali intervenire, perché Behrami aveva manifestato il desiderio di cambiare aria e Dzemaili e Pandev venivano ritenuti marginali rispetto al calcio di Benitez, come da minutaggio degli ultimi tempi: dunque, uno o due mediani, magari autorevoli interpreti, non necessariamente Mascherano e poi Gonalons e poi Kramer e poi quel miniesercito di interditori o di registi o di centrocampisti rimasti scarbocchi su taccuini con pagine in bianco. Poi magari sarà anche una questione di fair play finanziario, certo, e di paletti economici, ma in questo football 2.0 talvolta potrebbe anche bastare farsi una partita alla play-station per accorgersi che c’è dell’altro oltre lo steccato del proprio «calcio».
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