Il calcio ed il razzismo. Un binomio troppo spesso ricorrente. Soprattutto negli ultimi anni. Da Messina a Busto Arsizio, passando per Cagliari. Cambiano solo i protagonisti. Storia recente è il caso di ieri. Siamo al 26′ di Pro Patria-Milan, una gara amichevole, un giorno di festa. Kevin ‘Prince’ Boateng, stufo dei continui buu razzisti provenienti dalla tribuna, raccoglie il pallone e lo scaglia verso coloro che continuavano ad insultarlo. Poi, appoggiato dai suoi compagni di squadra, toglie la maglia e si avvia verso gli spogliatoi. Un segnale da parte del ghanese, una presa di posizione forte da parte del Milan, esemplare. Caso meno recente è quello legato a Marc Andrè Zoro, terzino ivoriano ex Messina. Era il Novembre del 2005. Si giocava Messina-Inter. Zoro finisce ben presto nel mirino dei tifosi ospiti presenti al San Filippo. Raccoglie la sfera di gioco e decide di lasciare il campo. Sarà poi Adriano, attaccante brasiliano dell’Inter, a convincerlo a restare e a proseguire. E’ storia di due anni fa, invece, quella legata agli episodi di Cagliari-Inter, sospesa dopo appena 3 minuti di gioco dall’arbitro Tagliavento per cori razzisti contro Samuel Eto’o. I buu razzisti partirono dalla Curva Nord occupata dagli ultra’ cagliaritani. Dopo poco, circa due minuti, il gioco riprende con tanto di annuncio da parte dello speaker che invitava gli spettatori a non perseverare in cori offensivi. La lista di episodi analoghi, comunque, non sarebbe difficile arricchirla: basti pensare allo stesso Balotelli, più volte beccato dalle varie tifoserie di Europa. A Omolade del Treviso, sommerso dai fischi di Terni. Il razzismo negli stadi, dunque, non è una novità, i napoletani lo sanno bene. Spesso insultati, offesi, e discriminati con cori, striscioni. C’è chi parla di sfottò, di sarcasmo, ironia. Ma i napoletani sanno bene che non è niente di tutto questo. «Vesuvio bruciali tutti», «Benvenuti in Italia», «Lavatevi», «Noi non siamo napoletani», «Odio Napoli». Sono questi i cori di benvenuto per i tifosi azzurri negli stadi del Nord Italia e non solo. Tutt’altro che sfottò. Serve un approccio duro, forte, da parte di società e calciatori. Anche nelle gare ufficiali bisogna mostrare la fermezza di Boateng, Zoro, Tagliavento e dei calciatori del Treviso, scesi in campo con le facce tinte di nero dopo l’episodio di Omolade nel 2001. Solo così può cambiare questo calcio malato…
Stefano D’Angelo
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