Quando Massimiliano Allegri suggerì la necessità di un centrocampo diverso, più tecnico, per fare un ulteriore salto di qualità, la dirigenza della Juventus gli rispose che la rosa andava bene così. Quando la società decise di cambiare allenatore e filosofia di gioco, tra le ragioni che furono evocate ci fu l’opportunità di rilanciare Dybala e Cancelo con una gestione più incline alla fantasia. E Maurizio Sarri, al suo arrivo, disse esplicitamente di voler puntare proprio sull’argentino. Oggi, ci ritroviamo con un centrocampo rivoluzionato, con l’ingresso del raffinatissimo e un po’ abulico Rabiot, e con Matuidi, invece in uscita perché considerato molto fisico ma poco tecnico. Ma ci ritroviamo anche con Cancelo in vendita e sulla soglia di uno scambio tra Dybala e Lukaku, centravanti assai interessante, ma con caratteristiche che sembrano in antitesi con le idee fin qui professate dal nuovo allenatore.
Orientarsi in questa nebbia non è semplice. Certo, il giudizio su una campagna di calciomercato si dà al suono della campanella, mai prima. Resta tuttavia l’impressione che molte delle scelte della società siano troppo condizionate dalla necessità di vendere: così si ha l’idea che di giorno in giorno si cambi strategia sulla base non di quel che si vuole, ma di quel che vogliono gli altri, delle loro offerte. In tutto questo, in una squadra che ha cambiato filosofia per trovare maggiori certezze tattiche in campo, fuori dal campo di certezze non ne restano: Sarri non è un grande comunicatore, parla poco e quando lo fa farfuglia. Così, il tifoso resta in un limbo, le sue domande sono senza risposta. A partire da come giocherà la difesa: la zona purissima di Napoli e Londra, con la grande organizzazione ma le inevitabili «albiolate», o un sistema misto su misura per giocatori come Chiellini e De Ligt? Non è dato saperlo. Non è dato sapere niente. Eppure, di fronte alla scelta di un allenatore che ha diviso la tifoseria, la società – che di tifoseria, tra abbonamenti e merchandising, vive – non sembra interessata a ricompattare l’ambiente – ovvero a consolidare la sua clientela storica – ignorando la basilare necessità di ogni singolo sostenitore di essere cullato in una qualche certezza, qualunque essa sia.
Uno scoglio cui appigliarsi, una bandiera di identità. Invece nulla, come se all’internazionalizzazione del brand corrispondesse il totale disinteresse per il nocciolo duro dei tifosi. Il risultato, per chi tifa bianconero dai tempi di Zoff, Gentile e Cabrini, è un’estate apatica, priva di qualsiasi entusiasmo, di quelle che fanno venir voglia di far altro la domenica pomeriggio. E se questo accade a chi teneva duro persino nelle estati di Marino Magrin, di Grygera o del Malaka Martinez, non è un buon segnale. Perché se è vero che una maglietta venduta in Cina vale quando una maglietta venduta qui, è quando vengono i tempi difficili che si vede la differenza. E allora, per spazzare la nebbia che circonda la società e l’apatia che invece imprigiona molti di noi, bisogna che qualcuno parli. Che racconti un’idea. Che dica qualcosa in cui si possa credere.
Fonte: Juventibus
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