NAPOLI – Non solo perché è stata la città di Maradona, Napoli affascina i calciatori argentini per mille altri motivi. E’ la città che per usi e costumi maggiormente si avvicina al loro modo di vivere: scanzonata, affamata di calcio, abituata a convivere con le difficoltà quotidiane, passionale, malinconica ed allegra al tempo stesso, proprio come il tango. Ecco perchè s’ambientano in un attimo. Si sentono come a casa. Vivono bene. E qualcuno ha scelto persino di viverci per sempre. Come nel caso di Bruno Pesaola, indimenticato bomber degli Anni Cinquanta, nonché tecnico della promozione in A nel ’62 e vincitore di una Coppa Italia e di una Coppa delle Alpi (’66), primo trofeo europeo vinto dal club. O chi non ne riesce proprio a farne a meno. Come nel caso del Pampa Sosa, recente protagonista della scalata dalla serie C che appena può corre a Napoli per una rimpatriata con gli amici. Argentino era anche Guglielmo Stabile, anni ’30, il primo attaccante della Selecion ad aver realizzato una tripletta, imitato poi da Batistuta ed Higuain. Così come lo era Omar Sivori, «El cabezon» che voltò le spalle alla Juve per arrivare a Napoli e lasciare dopo una lunga squalifica ricevuta proprio dopo un Napoli-Juventus per un litigio con l’arbitro Pieroni.
MARADONA – E poi c’è l’argentino che più di tutti ha legato il suo nome a Napoli ed al Napoli. Chi più di tutti ha portato il club, all’epoca gestito da Corrado Ferlaino, in vetta al campionato italiano ed all’Europa: Diego Armando Maradona. Lui è stato l’artefice di un’epoca d’oro che nessun tifoso napoletano dimenticherà più. E che riuscì con le sue gesta a rafforzare ancora di più il feeling tra Buenos Aires e Napoli. Da allora, i calciatori giovani della nazione, che ha dato i natali ad Astor Piazzolla e Carlos Gardel, sono cresciuti nel mito di quel campione che ha scritto la storia del club azzurro: due scudetti, una coppa Uefa, una coppa Italia, una supercoppa italiana. Sette anni di vittorie e rivalse. Sette anni vissuti con la stessa felicità in Argentina dove la colonia di italiani è inferiore solo a quella spagnola. Con Daniel Bertoni formò una coppia d’attacco tutta argentina per un po’. E tutti i calciatori che sono arrivati dopo, accolti peraltro con grande simpatia dal «Petisso», erano emozionati solo al pensiero di calpestare la stessa «cancha» dove si era esibito il grande Diego. Accettavano il trasferimento ad occhi chiusi. E qualcuno, come il Pampa Sosa, è voluto persino ripartire dalla serie C pur di onorare quella maglia appartenuta al «pibe de oro». Anzi, nella promozione dalla B alla A, sfoggiò una maglietta dedicata proprio a Maradona, « Chi ama, non dimentica». Per non citare German Denis, orgogliosissimo di approdare nella squadra che era stata del suo idolo da bambino. Gonzalo Higuaìn è solo l’ultimo in ordine di tempo. Ed è colui che ha avuto il contatto più stretto con Maradona; colui che gli deve anche tanto dal momento che fu proprio Maradona a lanciarlo sulla ribalta mondiale facendolo giocare a Sudafrica 2010. E lo stesso Maradona ha esultato nell’apprendere del trasferimento dal Real Madrid alla sua Napoli: «Spero che possa ripetere quanto ho fatto io con quella maglia», ha detto.
Stessa maniera di vivere. Stessa cultura. Stesso modo di rapportarsi con il calcio. In maniera viscerale. Ed anche come rivalsa sociale: il Sud che sfida il Nord ricco e potente. Persino uno come Ramon Angel Diaz che nel Napoli ha giocato un solo campionato (’82-’83) conserva un tale ricordo da convincere Lavezzi ad accettare di corsa la chiamata che gli arriva da Castelvolturno anni fa.
TRADIZIONE – Dici calciatori argentini e pensi anche ad Hugo Campagnaro, uno che ha lasciato la maglia azzurra a malincuore ma che una volta passato all’Inter ha voluto ringraziare per quanto ricevuto al San Paolo. Non a caso nella speciale classifica degli stranieri, gli argentini hanno scavalcato i brasiliani. Ad Iggi hanno superato la soglia dei trenta arrivi. Qualcuno non ha sfondato ma in maggioranza hanno lasciato il segno ed uno lo ha lasciato addirittura per sempre avendo ritirato la maglia numero «10» in segno di rispetto. Ora il testimone passa al «Pipita». Nel segno della tradizione, una tradizione vincente: da un argentino all’altro per riportare il Napoli sul tetto dell’Italia e dell’Europa.
Fonte: Corriere dello sport
La redazione
F.G.
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