Novantatre miliardi di lire divisi per 20 presenze danno come risultato un fallimento stimabile in 4,65 miliardi a botta: tanto nel 2001 pagò la Lazio per avere lo spagnolino col ciuffetto da Ricchi e Poveri, il basco Gaizka Mendieta, stella del Valencia che l’anno prima era stato finalista di Champions. Per non farsi mancare niente Cragnotti lo blindò con un quinquennale da otto miliardi a stagione. Lacrime e sangue, Mendieta bidone dei bidoni, conferma che gli spagnoli in Italia fanno (spesso) flop.
Poche eccezioni: le eccellenze come Suarez (l’Inter di Herrera), a seguire Borja Valero e Callejon, più indietro Del Sol (Juve e Roma) e Peirò (Inter) negli anni ’60, sulla linea di galleggiamento Munoz (Sampdoria) e Martin Vasquez (Toro) alla fine degli ’80. Per il resto: molti guitti, pagliacci da circo Togni con vocazione alla pernacchia. Detto che Pep Guardiola (Brescia e Roma, 2001-03) era già al tramonto; Esnaider (Juve), elegante e frivolo, era più da « Centrovetrine» che da battaglia. De La Pena (Lazio, 1998) a Roma ingrassò e intristì. Eriksson lo ignorava. Jose Mari (Milan, 1999-2002) venne presentato come il Cruijff spagnolo. Facce ride. In quel periodo (2001-2002) in rossonero venne il torello bolso Javi Moreno. Altro buco nell’acqua. Se poi vi ricordate dove giocavano Garrido, Amor, Portillo, Geijo e Arandes Toni Calvo, allora siete dei fenomeni. Quello di Cesar Gomez del Rey (Roma, 1997) fu uno scambio di persona. Zeman voleva un altro. Giocò 3 partite in 4 anni, compreso un derby da horror. Beccava un miliardo e mezzo di lire a stagione. Un pomeriggio a Trigoria, l’urlo di un tifoso: « Ao’, ‘a Cesar vièqqua». Cesar Gomez si avvicina. Il tifoso prende un foglietto, ci scrive sopra con la biro, allunga sprezzante il pezzo di carta allo spagnolo e rivolto agli amici sentenzia: « Je ho fatto l’autografo: me faceva pena».
Fonte: Corriere dello Sport
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