È il più scudettato del gruppo. Un bel po’ conquistati con le formazioni giovanili, altri due quando era già entrato a far parte del regno di Maradona. Magazziniere sulla carta, Tommaso Starace è una delle anime buone dello spogliatoio azzurro. Lo frequenta tutti i giorni, lo vive, ne gestisce gli umori con una semplice tazzulella di caffè. Espressamente fatto con la macchinetta napoletana, non roba da bar insomma. Un rito d’accordo ma soprattutto un modo aromatizzato per dare il benvenuto nel mondo azzurro. Ha quarant’anni di Napoli sulla pelle, la sua vita racconta che questo omone forzuto, umile e gentile si sveglia ogni mattina alle sei, percorre in auto 150 chilometri tutti i giorni, è il primo ad arrivare, l’ultimo a spegnere le luci. Quando a Castel Volturno sbarcano i protagonisti, le cose devono essere al loro posto: magliette, pantaloncini, felpe, guanti, scarpette. Linde, pinte e piegate sulla panca. Ha preso in braccio allenatori e presidenti, s’è caricato sulle spalle i campioni di ieri e quelli di oggi, è il filo conduttore che lega il Napoli dei trionfi a questo Napoli che sogna di vincere qualcosa di importante. L’unico sopravvissuto a quattro generazioni calcistiche. Starace, per tutti Tommy, mise piede nella sede di piazza Amedeo come aiutante cuoco dello chef Maresca. Divenne parte della famiglia con il trasferimento a Soccavo, il nuovo quartier generale inaugurato in fretta per una circostanza singolare: era il 1980, l’anno del terremoto. Le mogli di Krol, Castellini e Ferrario avevano paura a restare in casa, le famiglie dei calciatori vissero per qualche settimana nella casa ideata e fatta costruire da Ferlaino. Con Hamsik e Mertens si scherza e si ride per tenere compatto il gruppo. Più o meno accadeva la stessa cosa con Diego, che lo nominò custode ufficiale del suo attrezzo da lavoro più importante: le scarpette. E di un segreto mai svelato in trent’anni: Maradona andava in campo calzando scarpini ai quali faceva togliere le suole interne. I tacchetti premevano sulla pianta del piede e davano fastidio, Tommaso doveva rimediare all’inconveniente ammortizzando quei punti con il cerotto medico. Tecnici e calciatori gli sono rimasti fedeli nei decenni, Gigi Simoni allenatore di un Napoli di fine anni 90 ogni tanto fa uno squillo di telefono. Con Diego il feeling era totale, Cavani uno dei migliori clienti del bar Starace: beveva caffè a volontà il Matador. Come Higuain, che da Torino ne sente la mancanza e manco riesce a sentire più l’aroma. Durante le partite, si piazza ai lati della panchina. Urla, sbraccia, incoraggia, festeggia. Mertens lo ha omaggiato dopo il gol in Champions mimandone l’esultanza. «Una delle tante persone che lavorano dietro le quinte e che sono fondamentali per la squadra», ha spiegato Dries in diretta televisiva. È il magazziniere più social del campionato, twitta e comunica. Il caffè che era di Maradona, Cavani e Higuain lo serve adesso a Milik. Tutto scorre nello stanzone azzurro, il suo caffè resta. Testimone silenzioso di segreti che Tommy non racconterà mai a nessuno. Questioni di famiglia.
Fonte: Il Mattino
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