E così, tra il poco dire e il molto fare, salendo sulle Madonie, sbarcando a Capri, girando un film sul Che, prendendo e lasciando tre mogli, comprando terreni e costruendo palazzi, ingegnere, presidente e playboy, sono ottanta in questo 18 maggio 2011.
Per 33 anni, un mese e 12 giorni è stato una tempesta d’uomo alla guida del Napoli costringendo cronisti disperati a rincorrerlo agli angoli di mille strade e in cento città, un leone mai in gabbia. Corrado Ferlaino, produttore di un’antipatia personale tenacemente perseguita per timidezza, nessuna fiducia nel prossimo, furbizia congenita ed esagerata attività. Popolarissimo e popolarmente antipatico.
Assumendo e licenziando 26 allenatori e 14 direttori sportivi, comprando 309 giocatori, da Frappampina a Maradona, da Palanca a Careca, fino a Calderon e Prunier, l’Ingegnere ha fatto e disfatto la tela azzurra cogliendo trionfi mai raggiunti da nessun altro. Prese il club gabbando Lauro e Fiore. Era il 1969. L’ha lasciato al tempo di Corbelli, che a lui e a Naldi vendette la bollentissima patata azzurra. Era il 2002.
Dettagli memorabili: 370 miliardi di incassi in 32 stagioni, le finte dimissioni del ’71 e dell’83, il momentaneo abbandono del ’93, quattro bombe sotto casa, cinque squalifiche, tre cani fedeli. Lasciando il Campo Paradiso non dette più notizie di sé fino al giorno in cui si seppe che si dedicava ad alberghi, ville, parchi e parcheggi. Il finale della storia gli tolse il sorriso per le due retrocessioni e il club che non si raddrizzava più, le folli campagne-acquisti con le casse vuote, le promesse, le illusioni e l’addio necessario.
Si pentì di non avere tenuto fede a un giuramento: «Vinco lo scudetto e, ancora giovane, lascio il Napoli e fuggo su un’isola deserta». Il Napoli compì 76 anni di vita quando l’Ingegnere mollò. Della storia azzurra aveva vissuto quasi la metà. «Molti anni dopo Maradona avrei voluto prendere Henry e Trezeguet. Me li soffiò la Juventus».
Memorabile la gita in barca a Positano con Mantovani. «Invitai il presidente della Samp perché volevo Vialli che faceva i gol. Mancini non li faceva. Eravamo d’accordo. Mantovani era legato a Mancini, non a Vialli, non gli portavo via il figlio prediletto ma il gemello. Era fatta, ma i giornali scoprirono la gita a Positano e la trattativa saltò. Appena vinto il secondo scudetto eravamo al limite, stavamo per scoppiare. Il debito con le banche era di una trentina di miliardi. Che cosa dovevo fare? Fermarmi o correre dietro allo strapotere di Berlusconi? La sfortuna del Napoli era che i diritti televisivi, allora, erano bassi e divisi fra tutte le società. La nostra forza era il pubblico. Ma era una forza relativa. Con lo stadio pieno incassavamo 25 miliardi. Tolte le tasse, ne rimanevano 15 netti. Se avessi vinto gli scudetti con Sky…».
L’Ingegnere riassume i tre migliori colpi portati a termine. «Maradona perché è stato il più caro e il più sofferto. Allodi perché è stato il più lungo: passarono dodici anni dalla promessa di venire a Napoli al suo arrivo. Savoldi perché è stato l’acquisto più rapido e contrastato». Ha dettato questa formazione ideale: Zoff; Bruscolotti, Vinyei; Colombari, Andreolo, Krol; Busani, Vojak, Vinicio, Maradona, Venditto. Una vita nel calcio, gioie e dolori. Ma, senza il calcio, non sarebbe stato Ferlaino. «Il calcio è stato la mia prigione per trent’anni. La domenica era un incubo. Nelle trasferte vedevo solo lo stadio». È stato un dittatore longevo, un impasto di intuizioni ed errori, di trionfi e cadute. Dopo avere toccato il cielo con Maradona non potendo andare più su è precipitato. Nel calcio apparve in abito azzurro alla fine degli anni ‘60, quando ne aveva 38, si arrese al tramonto e si accorse di avere 71 anni. Fuori dal calcio è stato un costruttore abile con la straordinaria capacità di comprare, vendere, ricomprare e rivendere. Più che meridionale, arabo. Frequentatore dei suk.
«In quello di Marrakech tutti i mercanti mi conoscevano. Quando mi vedevano si eccitavano. Sono fatti della mia stessa pasta. Sapevano che ci saremmo divertiti. Io convinto di portargli via qualcosa che valeva più del prezzo pagato, loro convinti di avermi fregato». Un po’ arabo lo era, nell’apparenza e nel cuore. Volto rotondo mediorientale, occhi bassi, ridenti e molto fuggitivi, anima inafferrabile. Sultano in amore e nel calcio. Padre calabrese e madre milanese, ebbero la prima abitazione in via Giorgio Arcoleo. Studente al “Giambattista Vico”, la madre dava 5 lire al giorno al bidello Vincenzo perché non marinasse la scuola. Ma il ragazzo gliene dava 10 e continuò a guadagnare l’uscita. Ottant’anni e non s’è ancora fermato. Costruisce, compra alberghi, ha cambiato casa, vive con Roberta, deliziosa signora milanese, fa vita notturna ballando come un ragazzino. Ah, Ferlaino!
Fonte: Repubblica Napoli
La Redazione
S.D.
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