Argentini, uruguaiani, colombiani, ora anche cileni. L’altro passaporto del Napoli è sudamericano. Ma c’è una stranezza: nel Napoli non ci sono brasiliani. Eppure anche là non mancano i campioni, i giovani talenti, i fenomeni di oggi e di domani. Questione di scelta. E’ che per adesso il Napoli guarda con più interesse e simpatia certi mercati anziché altri. Eppure la tradizione azzurro-brasiliana è lunga, scritta con nomi anche preziosi accanto a quelli altrettanto indimenticabili di altri sudamericani: da Sallustro a Pesaola, da Sivori a Maradona giusto per ricordarne quattro: un paraguayano e tre argentini.
Da Innocenti a Pià- Storia di ieri e dell’altro ieri, invece, quella dei brasiliani. Storia, antica. Nata assieme al Napoli. Perché in quella prima formazione del 1926 c’era anche un brasiliano. Quel giovanottone venuto da Rio Grande do Sul, figlio di genitori bolognesi, era Paulo Innocenti. Arrivato a Napoli per fare il militare, Paulo, detto “Pippone” per via del naso grande, difensore di fisico e talento, non se ne andò mai più. Giocatore del Napoli per nove stagioni, ne divenne simbolo e anche capitano. Il primo capitano straniero degli azzurri. Da Pippone 1926 a Pià 2010. Il primo e l’ultimo brasiliano in maglia azzurra. Prima d’andar via in prestito in giro per l’Italia, Inaciò Pià fece in tempo ad esordire contro il Bologna con Mazzarri. Poi, un anno fa, l’addio definitivo al brasiliano che ora è al Pergocrema, in Lega Pro. E tra Innocenti e Pià altri venti brasiliani. Per metà eccellenti e per metà un po’ meno.Clerici, Del Vecchio, Alemao, Dirceu, Sormani, Canè, Altafini, Careca quelli di prima fila. E naturalmente lui: Luis Vinicio, il giovane “leau do Botafogo” che nell’estate del 1955 diventò il leone del Napoli. ‘O lione”. Perché del leone aveva la forza, la potenza, il cuore e quella grinta che ancora l’accompagna nel suo rincorrere il caldo dell’estate. Tant’è che ancora oggi si divide tra il sole di Napoli e quello di Rio. Fu proprio con Vinicio che scoppiò il grande amore del Napoli per i brasiliani. Un amore a prima vista. Anzi, al primo gol. Quello che sul vecchio campo del Vomero Vinicio segnò al Toro nella sua partita d’esordio e dopo appena quaranta secondi. Non a caso, forse, anche lui, anche ‘o lione”, come era capitato a Innocenti e come poi capiterà pure a Canè, da Napoli non se n’è andato più.
Rari difensori, qualche centrocampista, praticamente tutti bomber i brasiliani del Napoli. Ma una volta era così per tutti. L’Italia, terra promessa del pallone, pescava alla scuola brasiliana soprattutto per l’eleganza del dribbling e il senso della porta dei suoi giovani campioni. Giovani e meno giovani. Aveva infatti già ventisette anni José Altafini quando arrivò in azzurro. Ma ci arrivò dal Milan e non dal Brasile. Costò 300 milioni e con Sivori formò una delle coppie più belle di quegli anni. Indolente, dal caratterino complicato, Altafini resta comunque uno dei più bei talenti brasiliani mai visti qui in Italia. Napoli non l’ha dimenticato. Però l’ha detestato. E ancora lo detesta per quel gol – stagione del ’75 – che lui, passato dal Napoli alla Juve, fece a Carmignani a niente dalla fine. «Mi hanno fischiato e li ho puniti», disse Altafini a fine gara parlando dei napoletani presenti al “Comunale”. E quella sconfitta al Napoli di Vinicio (allenatore), di Juliano e “gringo” Clerici, costò addirittura lo scudetto: Juve 43 punti e Napoli secondo a 41: così si chiuse il campionato.
Tanti i brasiliani in maglia azzurra, ma nessuno nel Napoli campione d’Italia per la prima volta nell’87. Ma il Brasile si “rifece” bene nel ’90. In quel Napoli campione per la seconda volta, infatti, ve ne furono addirittura due: Ricardo Alemao e Antonio Careca. Il primo gran disegnatore a centrocampo, l’altro fine re del gol. Senza far torto a quelli che a Napoli sono arrivati dopo, gli ultimi due grandi brasiliani della storia azzurra.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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