Quando si è presentato per la prima volta nel ritiro austriaco di Feldkirchen si racconta che Edy Reja fissò negli occhi Calaiò e gli chiese chi fosse: «È l’attaccante argentino», rispose il bomber palermitano. Era il 23 luglio del 2007: quel giorno Ezequiel Lavezzi si presentò con undici tatuaggi e ben due soprannomi. Sul primo, «el loco», il pazzo, niente da eccepire: un video su YouTube in cui festeggiava un gol tuffandosi di testa su un cartellone pubblicitario (gesto che poi ha ripetuto altre volte anche con la maglia azzurra) gli faceva da biglietto da visita. Sull’altro, «el Pocho», in tanti avevano dubbi: passò la linea che si chiamasse così per la sua altezza, 1,73 cm. Solo anni dopo si è scoperto che è stato per via di un cane, el Pocholo, che viveva con lui nella sua povera abitazione di Galvez. Come avviene da bambini, il passo è breve.
Da allora di strada ne ha fatta: 146 presenze e 35 gol in maglia azzurra e altri 13 tatuaggi. Un Maradona, un Gesù sul cuore, lo stemma rifatto del Rosario Central, un Che Guevara, una ragazza seminuda e una pistola sul fianco destro. Ognuno racconta la sua vita. Tipo elettrico davvero, da ragazzo deluso voleva lasciare il Boca e si mise per un po’ a fare l’elettricista. Ad ogni gol ballava la Cumbia colombiana. «Ma non è mai stato una testa calda» racconta soddisfatto Pierpaolo Marino, l’ex dg azzurro che lo ha portato a Napoli per 4,5 milioni di euro. Ora, dice la sua clausola di rescissione, ne vale 31 di milioni.
A Marino lo segnalò il suo capo degli osservatori sudamericani, dietro consiglio di un altro manager Jorge Czysterpiller, l’ebreo di origini polacche che scoprì Maradona in un sobborgo di Baires. «Sapevo che poteva diventare un vero scugnizzo napoletano e sono contento per la carriera che sta facendo», ha spiegato l’ex consigliere e amico del pibe de oro. Il Genoa di Preziosi lo aveva appena rispedito al mittente: era finito in serie C e lì gli extracomunitari non potevano essere tesserati.
L’Argentina è sempre stata di casa a Napoli, e Lavezzi sembra fatto apposta per vivere la città, in tutti i sensi. «Angeli e Demoni», il velocissimo Pershing 72 di Ezequiel Lavezzi, adesso si dondola nella baia di Mergellina, aspettando il bel tempo e che lui, il Pocho, decida di farsi un giro per il golfo ammirando la sua Napoli dal mare. Appena potrà, lo sanno tutti, l’argentino punterà dritto su Capri, come è suo solito e magari poi a Positano.
In giro per Napoli prima si vedeva di più. Anche perché è difficile far passare inosservata la sua fiammante Ferrari che tante volte parcheggiava sul lungomare di via Caracciolo. Pizza, carne, pesce. Ma niente dolci nelle sue abitudini. Non si sa se per questione di linea o perché proprio non gli piacciano. A Villa Corsicato, l’oasi tra Marechiaro e Posillipo che l’argentino ha scelto come «buen retiro», Lavezzi ha trascorso gran parte delle giornate di riposo che Mazzarri gli ha concesso dopo le strepitose vittorie prima con il Chelsea e poi con l’Inter.
Il momento d’oro col Napoli gli è servito per mandar giù la delusione della mancata convocazione da parte del ct Sabella. Niente Seleccion, per adesso. E le parole del selezionatore non lo avvicinano alla maglia dell’Argentina: «Solo Messi è intoccabile, Lavezzi e Denis rientrano nelle rotazioni in attacco». Insomma, uno dei tanti. Ma si può? L’argentino è il simbolo di Napoli che, dopo più di vent’anni, sogna di poter tornare a vincere ancora nel calcio e vive da precario con la sua nazionale.
Da buon argentino, ha fatto amicizia con tutta la colonia di sudamericani del Napoli: da Fernandez a Hugo Campagnaro, da Gargano a tutti gli altri. Si muovono spesso insieme persino in macchina. Qualche volta si infilano nel bosco di Castelvolturno a far legna e poi la sera asado sulla griglia, che fa tanto Argentina: pezzi di «campanello», interiora, chorizos e morillas. Salsicce al sangue, sì. Una cena a settimana, almeno. Così si fa gruppo. Genio, dribbling e tiri in porta: uno spettacolo. Con lui, oramai insieme da un anno, Yanina Screpante, la modella che dopo la rapina del Rolex inveì contro tutto e tutti e minacciò di portar via Lavezzi da Napoli. Per poi fare immediato «mea culpa». Da qualche giorno il piccolo Tomas, suo figlio, lo ha raggiunto a Napoli. «Se segno è perché lui è qui con me». Alejandro Mazzoni junior in queste ore non è a Napoli a godersi il momento magico del Pocho. Il suo manager-amico è infatti a Buenos Aires. E magari sarà l’occasione per ricordare a Sabella che un campione così «non può rientrare nelle normali rotazioni della nazionale». Sarebbe un’autentica follia.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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