È stato per un decennio un’autentica macchina da gol. Segnava con chiunque senza fare distinzione, col Parma o la Lazio, con la maglia dell’Argentina o con quella dell’Inter e il Milan. Hernan Crespo, ma in Sudamerica lo hanno ribattezzato fin da piccolo Valdanito in onore del mitico Jorge Valdano, è l’essenza del calcio. E non ha perso la dimestichezza con i gol neppure quando gli sono spuntati i capelli bianchi.
Crespo, lei che ne intende: si possono vincere gli scudetti facendo affidamento solo su un bomber?
«Può succedere che ci sia un goleador talmente forte che da solo faccia vincere la propria squadra. Ma questo non può avvenire ogni domenica. La Juve, per esempio, nonostante non abbia un top player, come si dice adesso, sta mostrando di aver un organico di enorme qualità e di sicuro affidamento».
Il Napoli, invece, se non segna Cavani stenta a fare gol.
«La continuità di Cavani è impressionante. In pochi da quando io vivo in Italia hanno una costanza di rendimento così elevata. Ma non credo che il Napoli meriti processi solo perché ha perso con l’Atalanta. Cavani non è solo, alle spalle ha una squadra che gioca per il suo bene: così ovvio tutto diventa più facile».
Però il digiuno in attacco non fa vincere le partite.
«Ma la stagione è talmente lunga che i margini per risollevarsi ci sono tutti. Perché, secondo voi, la Juve non avrà il suo momento di pausa, il suo intoppo? Ecco, in quel momento chi insegue dovrà essere bravo ad approfittarne».
Nella speranza che ci sia Cavani al top?
«Non credo che il Napoli sia Cavani-dipendente. Io penso che Insigne sia un giovane su cui puntare molto, magari senza pressarlo con le aspettative e lasciargli il tempo di maturare. Mi sembra che come qualità siamo agli stessi livelli di El Shaarawy: in questo periodo di austerity bisogna puntare sui baby-bomber».
Scelta sacrosanta, quindi?
«È il momento giusto: se fossero rimasti Ibra o Lavezzi, per loro non ci sarebbe stato spazio forse neppure in Coppa Italia. Però, lo ammetto, mi emozionano di più i gol dei vecchietti, quelli di Di Natale e Totti, due intramontabili».
Troppi paragoni fanno male ai più giovani?
«Però sono belli. Io ho convissuto per dieci anni, da quando ho cominciato a giocare in nazionale, con il paragone continuo e inevitabile con Batistuta».
Lei venne acquistato per 120 miliardi nel 2001. Oggi Cavani vale più o meno il suo equivalente in euro. Pesa essere valutati a peso d’oro?
«Io non ci ho mai pensato. Così come non ho mai pensato al numero di gol da fare. Ho sempre pensato a regalare e a regalarmi emozioni. Tutto questo mi è servito per giocare e divertirmi fino a 36 anni».
Parliamo di scudetto. Chi lo vince?
«Non credo alla Juve così invincibile. Mi sorprende la sua marcia, mi aspettavo che l’assenza di Conte in panchina condizionasse di più il rendimento dei giocatori in campo. Invece, la reazione è stata spettacolare. Ma prima o poi dovrà perdere».
Magari succederà domani contro una delle sue ex, l’Inter?
«Io tifo per lo spettacolo ed è ovvio che se dovesse vincere la squadra di Stramaccioni, il campionato sarebbe riaperto anche per il Napoli. Che, sia chiaro, è ancora in corsa per il titolo».
Insomma, chi lo vince il titolo quest’anno?
«Una tra Juve, Inter e Napoli».
Ricorda la sua prima volta al San Paolo?
«Un sogno. L’Italia per noi ragazzi argentini era il mito e Napoli un sogno. La prima volta al San Paolo mi misi a piangere perché ci aveva giocato Maradona».
Lei nel 3-5-2 di Mazzarri si sarebbe divertito?
«Penso di sì. Poi di fatto lo faceva Malesani nel mio prima Parma. E anche alla Lazio: era il modulo preferito di Eriksson. Insomma, penso che me la sarei cavata».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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