La cartina di un’Italia a prevalenza gialla, con due regioni arancioni e quattro rosse, è destinata a mutare già nelle prossime ore. Diversi territori sono in grave o gravissima sofferenza e i medici spronano a chiudere il Paese intero altrimenti sarà il virus ad avere la meglio. Eppure tra esecutivo e governatori la confusione (e la tensione) è massima.
Il «verdetto» atteso per domenica pomeriggio verrà emesso solo lunedì, dopo che nel report dell’Istituto superiore di sanità saranno confluiti tutti i dati in arrivo dalle Regioni. La conferma ufficiale si avrà soltanto in giornata, quando gli scienziati avranno fatto le loro controdeduzioni e il ministro Roberto Speranza avrà sentito i governatori.
Ma le indiscrezioni dicono che le aree a rischio, destinate al lockdown o comunque a misure più severe di quelle nazionali, sono Liguria, Abruzzo, Umbria e Campania, che da gialla può persino diventare rossa.
Il destino della regione amministrata da Vincenzo De Luca è emblematico del caos, che ha fatto saltare le riunioni cruciali. «Il governo sta traccheggiando perché non puoi cambiare colore dopo tre giorni — è la versione di un consigliere campano —. Va bene che siamo sulle giostre, ma evitiamo le montagne russe». La cabina di regia, prevista alle 15, è stata rinviata alle 16 e infine spostata alle tre di lunedì pomeriggio ed è slittata anche la riunione del Cts che avrebbe dovuto esprimere il parere sulla curva epidemiologica delle regioni a rischio, da inserire in fascia arancione o rossa. I governatori hanno chiesto più tempo per raccogliere e comunicare i dati e il ministero della Salute, per non esasperare le tensioni, ha concesso qualche ora. Anche per il timore che la notizia di nuovi lockdown, comunicata di domenica, avrebbe spinto tanti italiani a muoversi, in entrata o in uscita dai territori interessati dalle ordinanze.
Il livello di confusione nella raccolta e analisi dei dati che i governatori sono obbligati a trasmettere all’Istituto superiore di sanità è massimo. Appena due ore prima dell’avvio del confronto erano ancora nove le Regioni che non avevano trasmesso i propri bollettini, o li avevano inviati incompleti. Se si tratti di un comportamento doloso o semplicemente di disorganizzazione potrebbero presto essere i magistrati a stabilirlo. Perché dopo l’inchiesta avviata in Liguria, anche altrove sarebbero pronti esposti e segnalazioni sulla modalità di lavoro delle Asl e dei responsabili regionali per la compilazione dei bollettini che poi confluiscono a Roma. Prima fra tutte la Campania, che sembra avere una situazione reale diversa da quella scritta nei numeri: raccontano che il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro stia «analizzando i dati con la lente d’ingrandimento».
Domenica si è toccato il picco di 4.600 positivi. Numeri che, una volta raccolti dalle Asl e comunicati alla cabina di regia, vengono studiati alla luce dei 21 parametriche stabiliscono le tre aree di rischio. I dati della Liguria, che vede Genova sotto forte pressione per contagi e ospedali, sono in via di approfondimento. Se il Lazio regge perché ha una rete ospedaliera strutturata, in Abruzzo e Umbria le terapie intensive si vanno riempiendo. In Toscana preoccupa il numero di anziani positivi nelle Rsa e anche il Veneto è osservato speciale.
La scorsa settimana, quando Lombardia, Piemonte e Calabria sono entrate in zona rossa, l’ordinanza di Speranza è arrivata prima che il Comitato tecnico-scientifico esprimesse il parere. E questo nonostante il Dpcm preveda che il governatore venga «sentito». Una procedura anomala che dovrà al più presto essere rivista, anche per non aggiungere problemi a un meccanismo che mostra di avere numerose falle.
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