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Corrado Ferlaino: «Io, il “carceriere” di Maradona»

L' "Ingegnere" si confessa: gli inizi, Maradona, il rapporto con la sua città

Dopo 36 anni dedicati al calcio, adesso mi godo questo sport da tifoso. Seguo  sempre il Napoli, ma riesco a guardare solo i primi 45′ minuti di una partita, poi entra in circolo un po’ di scaramanzia e ansia. E porto sempre qualcosa di  azzurro con me”. Parole e musica di Corrado Ferlaino, l’ex presidente che ha  portato il Napoli tra le grandi d’Europa. Voce spezzata ed accento fortemente  napoletano, si confessa a cuore aperto. Con un piccolo rimpianto, ammesso fuori  dai denti. “Potevo vincere molto di più. Se con l’arrivo di Savoldi avessi tenuto  anche Clerici, ad esempio, avremmo vinto lo scudetto”.

Savoldi: il primo  grande acquisto di una lunga serie.

“Mi ero scocciato delle cosiddette cordate che si erano formate all’interno del  Napoli. 10 persone al comando erano troppe. Decisi di prendere il club tutto da  solo, e da solo ripianai tutti i debiti. Anzi, per non pagare più tasse del previsto,  comprai Savoldi dal Bologna. Il presidente di allora fu anche oggetto di  minacce da parte dei tifosi bolognesi per avermi ceduto quel grande giocatore”.

Il secondo grande acquisto, invece, è il giocatore più forte di tutti i tempi: Maradona.

“Il secondo grande acquisto in verità doveva essere Socrates; poi, fortunatamente, la Fiorentina ce lo soffiò. Sono invece riuscito a comprare le  prestazioni sportive di Maradona. Una trattativa lunga, che sono riuscito a sbrogliare solo grazie al famoso magheggio, con la famosa busta col contratto  di Maradona portata durante la notte, di domenica (il calciomercato chiudeva di  sabato, ndr). Se non avessi agito in quella maniera, chissà cosa sarebbe successo”.

 Cosa ricorda di quei giorni di trattativa?

“I tanti viaggi col mio aereo privato, la gente assiepata sotto casa mia, le poche ore di sonno. La felicità di tutta la città, poi, alla presentazione di Maradona.  Perché portare un giocatore di quel livello a Napoli era difficile, quasi  impossibile. Sia per l’amore, a volte troppo eccessivo dei napoletani, sia per la  pericolosità di alcuni ambienti. Senza parlare della camorra”.

Che rapporto c’era tra lei e il Pibe de Oro?

“Amore e odio, senza mai esagerare però. Ero il suo carceriere. Ci volevamo  bene, ero un suo tifoso, ma è chiaro che se si alzava la mattina dicendomi che  voleva andarsene al Marsiglia io, forte del potere contrattuale, gli dicevo di no.

Cercavo di coccolarmelo nei limiti del possibile”.

Come quando gli regalò una Ferrari.

“Lo chiamai dopo la vittoria dei Mondiali per complimentarmi con lui. Gli  chiesi cosa voleva per regalo. Rimasi sorpreso quando mi chiese solo una  Ferrari. A quei tempi costavano poco, e forte dell’amicizia con Montezemolo,  che allora era in buoni rapporti con l’azienda di Maranello, riuscii a comprarla  con uno sconto del 50%”.

Diceva di essere stato il suo carceriere. In che senso?

“Facevo controllare tutti i miei giocatori, specie Maradona Avevo persone,  anche dirigenti del Napoli, che giravano per tutti i locali di Napoli tutte le sere. Il tutto per controllare che non finisse in mani sbagliate, poi nel privato poteva  fare quello che voleva. L’importante è che la domenica potesse giocare e far  vincere la squadra”.

Cosa che non accadde in Spartak Mosca-Napoli, gara valida per gli ottavi  di Coppa Campioni del ‘90.

“Lì parliamo dell’ultimo anno di Maradona al Napoli. Prese un volo privato per  raggiungerci in Russia. Perdemmo quella partita ai calci di rigore. Sbagliò  anche Diego. Ma in quella occasione sembrava già tutto scritto per un pagano  come me. Il ‘Dio’ del calcio aveva deciso di farci fuori. I rigoristi dello Spartak  calciarono sempre nello stesso angolo. Il nostro portiere doveva capire che il  pallone sarebbe finito sempre nel solito angolo”.

A marzo ’91, invece, l’ultima gara di Maradona con la maglia del Napoli.

“Avevamo cercato di proteggerlo in tutti i modi. Ci aveva detto che era pulito, anche prima della partita con il Bari. Ci mentì e venne squalificato dopo i  controlli antidoping. Fu la fine dell’avventura di Maradona con la maglia del

Napoli”.

Anche se provò comunque a trattenerlo.

“Io non avrei mai voluto privarmi di lui, ma la situazione era diventata insostenibile. Mi chiamarono in tanti, anche Blatter, per spingermi alla cessione  di Diego. Mi dicevano: “Una valanga che scende diventa sempre più grossa,  liberati di Diego”. Si presentò il Marsiglia con tanti soldi, gli stessi che tirai  fuori per acquistarlo dal Barcellona”.

Perché la contattò anche Blatter?

“C’erano i campionati del Mondo quell’anno, e senza Maradona non avrebbero  avuto la stessa attrattiva”.

Tante vittorie, grandi successi. Ma cosa le ha lasciato Maradona di extra calcistico?

“Aveva una grande umanità. Il suo rapportarsi a me quotidianamente era bellissimo. E al di là delle sue giocate, delle sue perle col pallone tra i piedi, era  formidabile anche in campo. Formalmente il capitano era Bruscolotti, ma lui  era il vero leader della squadra. Di una correttezza incredibile in campo, si  faceva voler bene da tutti”.

Oltre a Maradona c’è un altro giocatore a cui è rimasto particolarmente legato?

 “Ho sempre cercato di non legarmi a nessun giocatore per non farmi nfluenzare  su possibili decisioni. Cosa che invece facevano i dirigenti precedenti, che   cercavano addirittura di influire sulle scelte del tecnico. Nel mio Napoli hanno giocato tanti campioni, e quelli a cui ripenso con felicità sono Careca, Bagni, Giordano, ma soprattutto Ferrara e Cannavaro, i due fiori all’occhiello  del  nostro settore giovanile. Quello di Marianella era un centro sportivo  all’avanguardia, sono usciti tanti buoni giocatori dal nostro settore giovanile”.

E Zoff ?

“Non l’ho acquistato, ma l’ho venduto. E’ stato un ottimo portiere, ma col  carattere troppo nordico per giocare nel Napoli. Per noi ha fatto tanto, oggi  potremmo paragonarlo a Buffon”.

Intanto, dopo Maradona, cosa successe?

“Continuarono ad arrivare giocatori forti, rischiammo addirittura di vincere la  finale di Coppa Italia a Vicenza. Insomma, non era tutto da buttare via. Ma non potevamo andare avanti a causa dei debiti e degli interessi delle banche

Come  giudica l’operato dei suoi successori?

“I Presidenti che si sono susseguiti dopo la mia cessione sono stati un vero e  proprio disastro. Con me il Napoli non sarebbe mai fallito. E ci tengo a  sottolineare il fatto che io da presidente non ho mai chiesto un compenso.  Neanche il consiglio di amministrazione. Ricordo, poi, che sei mesi prima del  fallimento del Napoli il Presidente di allora ricevette una buona offerta, ma  decise di non accettarla”.

Com’è stato il suo rapporto con la città?

“Sono un napoletano verace. Ma se nel calcio vuoi vincere, non puoi seguire la  mentalità dei napoletani. Anzi, la devi combattere con freddezza. Dovevo  ragionare da non tifoso, e questa è un aspetto che i Napoletani non hanno  apprezzato. Ora, invece, faccio tutte le cose da napoletano doc”.

Dopo 36 anni di calcio ha detto basta.

“Non sento più nessuno del mondo del calcio. Dopo 36 anni si vive,  fortunatamente, di altre cose. Ho degli amici in Lega e al Coni, ma niente di  più”.

Da quanto tempo non sente Maradona?

“Da un anno”.

E che rapporti ha con De Laurentiis?

“L’ho incontrato una volta, ma io volevo parlare di cinema, lui di calcio. E’ un  buon presidente, ma non mi assomiglia come dicono in tanti: io la squadra la  seguivo giorno dopo giorno, specie durante la settimana”.

Avrebbe un consiglio da dargli?

“Di agire di testa sua, sempre. E di non parlare di formazione con l’allenatore”.

Molti calciatori del Napoli, di recente, sono state vittime di atti criminali.

“Può darsi che dietro ci sia un’associazione a delinquere, ma può anche essere  una casualità. A Napoli non mi sono mai capitati fatti spiacevoli. Mi hanno  rubato un’auto a Milano, una valigia e Parigi e una macchina fotografica a Marrakech”.

Capitolo acquisti sfumati.

“Ce ne sono stati tanti. Mi bastava una riunione di Lega per buttare l’amo con i  presidenti di altri club per qualche giocatore. Pensavo ai giocatori come alle  donne: in fondo, se ci provi con tanti, qualcuno ci starà. Ma una volta incassai  un doppio no”.

Con chi?

“Per Mancini e Vialli. Venne il presidente della Sampdoria di allora,  Mantovani, a Positano. Lo invitai sulla mia barca e gli feci la mia proposta. Lo  avevo quasi convinto a cedermi questi due grandi giocatori, ma quando tornò a   Genova i familiari, gli amici e i tifosi lo convinsero a buttare per aria questa  trattativa. Ma ripeto, ne ho trattati davvero tanti di giocatori”.

Ha chiuso col calcio, ma era presente all’amichevole tra Italia e Uruguay  allo stadio Olimpico.

“Erano quasi dieci anni che non entravo in uno stadio italiano. E’ stato molto  piacevole vedere all’opera la Nazionale di Prandelli, anche se mi sento  borbonico, nonostante sia stato consigliere federale e della Lega calcio”.

E con lo sport in generale?

“Quella con l’automobilismo è una porta che si è solo socchiusa. Avere un team  era uno dei miei sogni. Ma la Formula Uno è uno sport per sceicchi”.

Fonte: TMW Magazine

La Redazione

M.V.

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