Il ministero alla Salute ha incaricato ufficialmente lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze di produrre l’idrossiclorochina, uno dei farmaci, insieme alla clorochina e ad altri, che si stanno usando contro il coronavirus in via sperimentale. Una determina di Aifa, Agenzia italiana del farmaco, del 17 marzo lo inserisce nell’elenco dei medicinali rimborsabili e utilizzabili anche per il trattamento in regime domiciliare. Ora Roberto Speranza scrive un decreto, datato 7 aprile, nel quale tra l’altro si sottolinea “la difficoltà di approvvigionamento di farmaci autorizzati da impegnarsi per il contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”. Nei giorni scorsi diversi pazienti colpiti da malattie autoimmuni come il lupus e l’artrite reumatoide hanno denunciato carenze di questi medicinali in farmacia. In più sempre più regioni utilizzano clorochina e idrossiclorochina sui pazienti colpiti dal coronavirus. Dunque c’è “la necessità di avvalersi dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze quale risorsa fondamentale nella specifica materia”.
La struttura pubblica fiorentina è l’unico centro in Italia autorizzato per la coltivazione di cannabis da destinare all’uso terapeutico. Ma le sue potenzialità sono molto superiori. Infatti produce anche medicinali orfani, cioè per malattie rare o difficili da reperire, e quando è arrivata la pandemia è stato incaricato di produrre disinfettanti. Adesso avrà un ruolo più importante. Il decreto di Speranza lo incarica, con oneri a proprio carico “alla produzione del farmaco a base di idrossiclorochina per la successiva distribuzione da parte degli enti competenti. All’importazione delle materie prime necessarie. All’importazione di prodotto già confezionato, seppure non autorizzato, per il successivo utilizzo sul territorio nazionale secondo le indicazione dell’Agenzia italiana del farmaco”. E’ la seconda volta che il farmaceutico militare viene chiamato in causa per un’epidemia in anni recenti. Nel 2009 produsse un antivirale per fronteggiare l’influenza “suina”. Quell’emergenza poi si rivelò molto meno importante di quella che stiamo vivendo adesso.
Fonte: repubblica
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