Vi proponiamo gli editoriali di Massimo Corcione e Antonio Ghirelli pubblicati sul Mattino di oggi. Una diversa visione dell’orizzonte azzurro: da una parte il Napoli che può farcela (Corcione), dall’altra la richiesta di realismo e di un’aggiustatina alla squadra di Mazzarri.
Questo Napoli può farcela: basta crederci
di Massimo Corcione
Cose da non fare per il Napoli di Walter Mazzarri: giocare con il Milan di lunedì. Due volte è successo quest’anno, due volte è finita in sconfitta, la seconda è pesata ancora di più: è arrivata la grande disillusione dopo una settimana lunghissima, durata per giunta un giorno in più e passata attraverso una trasferta a Vila-real che ha lasciato segni indelebili sul morale e sul fisico dei giocatori. La prima volta, al San Paolo, non fu vero crollo, ma la delusione fu tanta, quattro giorni dopo la festa mancata contro il Liverpool. Cose da fare ora: non smettere di crederci. Non arrendersi all’idea che la favola sia già finita in una fredda e piovosa serata milanese. Lo chiedono quanti hanno assistito annichiliti da un senso d’impotenza all’ultima sconfitta.
L’impressione ricevuta da tutti i tifosi napoletani è stata che non potesse esser vero, che non fosse quella la squadra capace di rimontare le situazioni impossibili, che in campo al Meazza fossero andate delle controfigure. Il giorno dopo, la sensazione s’è addirittura rafforzata nelle parole dei grandi rivali, Galliani e Moratti: il loro giudizio è stato unanime nel considerare il Napoli ancora in corsa, tutt’altro che cancellato dalla lunga volata per lo scudetto.
Una parola che è tornata normale, pronunciabile senza rischio, ora che l’incantesimo si è interrotto. Magari anche questa è una liberazione. Tra le cose da fare Mazzarri inserisce al primo posto la ricostruzione della forza mentale, la risorsa in più finora esibita da giocatori che forse hanno sofferto soprattutto l’adattamento all’alta quota della classifica.
C’è un’interpretazione sulla sconfitta, filtrata dallo spogliatoio napoletano: da Vila-real a Milano il crollo è stato soprattutto italiano. L’impresa nell’Europa League è stata alla portata fino alla fine, e nella formazione la dominante era straniera (solo De Sanctis e Dossena, oltre ad Hamsik, in un mare di sudamericani. Contro il Milan la partita è finita sul rigore (eternamente dubbio) trasformato da Ibrahimovic, e nella formazione iniziale gli italiani erano sei su undici.
Questione di mentalità più che di valore tecnico: in pratica la vigilia è stata vissuta tanto intensamente da fiaccare le energie più che moltiplicarle in chi ha sentito sulla propria pelle l’effetto Meazza. La controprova a questa tesi è quasi impossibile, come nessuno potrebbe garantire che con Lavezzi le cose sarebbero andate in maniera diversa.
Certo che l’assenza pesa tantissimo, gli altri due – Cavani e Hamsik – si sentono quasi abbandonati senza il terzo componente del trio meraviglia: l’imprevedibilità è scesa a zero, anzi sottozero. Quello scambio di cortesie tra Lavezzi e Rosi minaccia così di condizionare l’intera stagione, come le sconfitte con il Chievo e qualche altro punto dilapidato. Eppure è assolutamente vietato disarmarsi: Mazzarri diventa ufficialmente il perno intorno al quale gira la giostra azzurra.
Era lui il primo a sapere che le altre due squadre hanno una rosa più ricca e un’abitudine alla vittoria che il Napoli deve ritrovare dopo un buco vero largo vent’anni. Ecco perché c’è una sola cosa da fare: crederci. Con una certezza in più: i lunedì contro il Milan sono finiti.
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Serve realismo e un’aggiustatina ai Mazzarri boys
di Antonio Ghirelli
La severa sconfitta di lunedì sera al Meazza per mano del Milan ci ha procurato una grande amarezza, ma costituisce una preziosa lezione per chi guida il Napoli così come per chi – ed è una sterminata folla – lo ama.
Il nostro giornale ha il merito di non averlo nascosto, anche se naturalmente – e fondatamente – ha messo in risalto i macroscopici errori dell’arbitro Rocchi, nel giudizio sulla mischia in area azzurra da cui è scaturita la discutibile decisione del rigore. La sudditanza psicologica è un antico male del calcio italiano perchè scaturisce da una mancata maturazione di cultura democratica, per cui si affida la propria promozione sociale alla protezione dei poteri forti: nel nostro caso, la carriera del giudice di gara alle decisione, e quindi al favore, dei dirigenti più autorevoli in Lega.
Può contare sicuramente su qualche spinta un Milan che ha il suo presidente nel personaggio – chiave del’attuale governo, che a sua volta ha tutti i mezzi, e nel caso di Berlusconi, anche la capacità di rafforzare il suo club. Ma non bisogna esagerare nè a giocare troppo su questo fattore, nè a valutarne la reale portata.
Nel caso dell’incontro fra il Milan e il Napoli, c’è un dato di fatto incontestabile che finisce per mettere in luce più le carenze della squadra di Mazzarri che non l’influenza del direttore di gara sul suo andamento. E’ la condizione di riposo in cui è stato lasciato durante quasi tutta la partita il portiere rossonero, la faciltà irrisoria con cui sono stati neutralizzati i pochissimi tentativi di contropiede di Cavani e di Hamsik.
Allo stadio Meazza il Napoli non ha fatto gioco, non è riuscito mai a mettere in pericolo la rete difesa da Abbiati: l’assenza di Lavezzi (d’altro canto punito per una grave infrazione disciplinare) ha ridotto ai …minimi termini la manovra, mentre imperversavano Pato e Ibrahimovic, senza aver bisogno neppure del magico “assist” di Cassano. Giustamente si è scritto che, senza inseguire fantasmi di gloria per ora inafferrabili, dopo Milano bisogna organizzarsi per difendere il terzo posto e la conseguente ammissione alla Champions; che, per altro verso, bisogna guardare al mercato acquisti tenendo presenti gli insegnamenti dello 0-3 di lunedì.
Inutile continuare ad ingaggiare elementi discreti come rincalzi in ruoli secondari dimenticando quella regia di centro-campo alla Pirlo o alla Pizarro capace di orchestrare una manovra difensiva o aggressiva sulla base dell’andamento della gara, delle risorse e della giornata, della compagine avversaria. Nessuno dei tre brillanti stranieri che De Laurentiis si è saputo assicurare, possiede questa vocazione, anche se il “Pocho” è abbastanza veloce e vellutato per portare lo scompiglio nell’area avversaria, favorendo il tiro del giovane slovacco o il tocco a rete dell’artista uruguaiano.
E bisognerà pure che noi cronisti rinunciamo a lasciarci esaltare dalle imprese brillanti che certamente Mazzarri e i suoi ragazzi continueranno a regalarci. Come si dice dalle nostre parti, i conti si fanno sotto al portone, quando la “giornata” è finita e si tirano tranquillamente le somme
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.C
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