Il Napoli splende nella notte dell’orgoglio. Entra d’impeto dopo il violento rimbalzo di memoria. Fiero, veloce, testa alta. Un altro Napoli. Non c’è solo la statua, Diego va oltre le dimensioni dell’opera, un mito è infinito ed il suo occupa tutto lo stadio, esalta la città che si rivede nel suo profeta di scudetti, è una lunga emozione che avrà condizionato chi porta la sua maglia nella partita più difficile. Mertens sembra rapito dal ricordo di se stesso nei giorni migliori, con Sarri e nel ruolo che l’artigiano nato a Bagnoli gli ritagliò ha segnato 52 reti in 17 mesi. È riapparso subito nel suo furore gentile alla guida della fase offensiva che fissa il 3-0 dopo soli 29 minuti. Un altro Napoli, un altro Mertens. Sentono che l’impegno è diverso, come diversa è la serata, non c’è tempo da perdere, deve giocarsi tutto ma proprio per staccare il Milan sconfitto, volare più in alto in classifica, rendere credibile un sogno lungo 31 anni, quanto tempo è passato dalla conquista del 1990, com’era bello e facile vincere con Diego. Il primo tempo rievoca quei tempi. Perché coincidono due elementi: il Napoli ha ritmi altissimi e gioco essenziale con un solo tocco e via, la Lazio invece subisce la costante aggressione e marca troppo largo. Sarri cede, scegliendo male i difensori esterni. Lo spagnolo Patric a destra sostituisce Lazzari un esterno ideale per una difesa a tre con la sua falcata lungo linea, ma Patric subisce Insigne, lo provoca, si fa ammonire, infine sostituire proprio da Lazzari. Errore di Sarri, quindi. Il destro Hysaj a sinistra incrocia un lucidissimo Lozano. È lui che interviene per favorire il primo e terzo gol, svincolandosi dal difensore albanese. Sarri sembra voler promuovere il suo gioco, rievocare il felice triennio, marcature fisse neanche a parlarne, ma la Lazio fatalmente precipita nello sconcerto perché non sa che fare, né dove rintracciare Mertens, inafferrabile per la prima mezz’ora e insidioso anche dopo. Sarà Spalletti a tirare l’applauso per Mertens, da ieri miglior marcatore del Napoli con i suoi 105 gol. Con il ciclone Osimhen fuori chissà per quanto tempo la prova di Mertens ed il riscatto degli attaccanti superleggeri il Napoli ritrova le sue certezze. Vi riesce anche con gioco corto e rapido a palla bassa. Ma protagonista è Lobotka che gioca senza il velo di un controllo, si collega con un superlativo Koulibaly per avviare la giostra di un Napoli che prevale proprio sul gioco nel confronto, con un fluido possesso palla. Una felice sorpresa Lobotka che detta il gioco con passetti veloci e tocchi essenziali, al suo fianco Zielinski sembra uscito da una fase opaca incontrando senza complessi Luis Alberto, al centro la Lazio rimpiange Lucas Leiva, avendo in regia un disordinato e inquieto Cataldi. La delusione è Sarri. Invecchia con i suoi difetti, oscurando i pregi che pure sono notevoli. Non è colpa sua. Lotito lo chiama per sostituire un ottimo allenatore: Inzaghi crede nella difesa a 3, nelle ripartenze poderose, nella velocità in verticale. La Lazio doveva pensarci prima. Ha chiamato non l’allenatore capace di migliorare quel che trova, modulo compreso, ma un adorabile testardo che prima della squadra allena le sue idee. La superiorità conclamata non distrae Spalletti. Rafforza gli ormeggi sapendo che prima o poi qualche buriana arriverà. Tira fuori proprio Lozano e Mertens, per Petagna ed Elmas. Un plateale abbraccio anche di Zielinski a Spalletti, prima di uscire per far posto a Demme. Una coreografica esibizione di cordialità per far sapere a tutti, alle avversarie di vertice innanzitutto, che il Napoli guarda tutti dall’alto di almeno tre punti. Che ha smesso di sbandare. Che è più forte delle sventure. Che si sente coeso, felice e grande nella notte di Diego.
Fonte: Antonio Corbo per “Il Graffio” di Repubblica
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