È l’allenatore che ha preso per mano l’Italia del calcio. L’ha portata al luna park. Seguimi, possiamo anche divertirci, le ha fatto intendere Roberto Mancini. Poteva riuscirvi solo lui, con la forza quieta del suo personaggio, il ciuffo che cade per caso sulla faccia di bambino educato, un tipo intelligente se sa vincere quasi tutto senza farsi notare, con i suoi metodi anti-stress che portarono già l’Inter allo scudetto, la stessa Inter che l’ha rivinto ora con gli elettrochoc di Antonio Conte, bravi tutt’ e due, ma l’uno agli antipodi dell’altro. Venerdì 14 milioni di spettatori unificando le reti televisive hanno forse scoperto Mancini. Lancia uno spot dopo altro in questi giorni, dai 400 borghi delle Marche al Verdicchio di Matelica e al Teatro Pergolesi della su Jesi, ma tace su se stesso. La sua vita è passata spesso per Napoli, con la prima moglie la bionda Federica Morelli, il sarto napoletano che dipinge il capospalla delle sue giacche, napoletano il medico di fiducia che fa il pendolare tra Posillipo e la Mayo Clinic di Rochester, napoletani gli amici d’ombrellone sulla spiaggia “La Celvia” a Porto Cervo, napoletano anche il giocatore che segna la profonda rottura tra la Nazionale dello sfascio e questa.
Il 13 novembre 2017 l’Italia pareggia a Milano con la Svezia ed è fuori dai Mondiali. Per la seconda volta nella sua storia. Dopo il tonfo del 1958 a Belfast con l’Irlanda del Nord, Ct Alfredo Foni. La Juve era potente anche in Nazionale, Gian Piero Ventura si schierò con il portiere Buffon e il terzetto Barzagli, Bonucci, Chiellini. Si piegò alla difesa a tre, il 3-5-2 di riflesso eliminava gli attaccanti esterni. Ventura schierò Immobile e Gabbiadini con Florenzi mediano sinistro. Il caos elevato a sistema. In panchina c’era De Rossi, prima di entrare ma urlò a Ventura che era da preferire Insigne. Ventura neanche sul ciglio del burrone si arrese. Oggi la Nazionale dà spazio nell’elastico 4-3-3 a Bonucci e Chiellini ma anche a Insigne, sostenuto dall’esuberanza responsabile di Spinazzola, nella catena di sinistra.
Dettaglio rilevante per il futuro del Napoli. Insigne esce da una ottima stagione sul piano personale. Mancini però offre un motivo di riflessione. Quanto vale insigne, quanta serenità, lucidità, libertà di rifinire ha, se da sinistra sbucano Mario Rui o Hysaj, oppure un ciclone chiamato Spinazzola? Mai sostituito Ghoulam. Quanto quel buco nero ha penalizzato Insigne ed il Napoli? Si lavora per montare nella catena il ricambio che manca? A questo dovrebbe dedicarsi Spalletti, che per contratto non può ancora parlare ma viene solo descritto come un raffinato pensatore immerso nella sua vita contadina di Montaione, fattoria “La Rivolta”, tra zebre e struzzi. Spalletti è un uomo intelligente, sa per fortuna che a Napoli non dovrà rilevare la cattedra di filosofia estetica che fu del grande Aldo Masullo, ma la panchina di Rino Gattuso, emotivo e caparbio, in perenne lite con il presidente. A De Laurentiis dovrà chiedere, nel rispetto delle risorse, acquisti adeguati alle esigenze tattiche. Chiedere e ottenere. Leggere che Spalletti sia pazzo di Lobotka può rallegrare De Laurentiis, Giuntoli e Gattuso che lo presero. Ma forse occorre anche altro. Ben altro. La Nazionale e l’Atalanta insegnano. Per spendere meno ma meglio, c’è un valore che torna di moda: la competenza.
Fonte: Antonio Corbo per “Il Graffio” di Repubblica
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