Leggi e rileggi, una data s’infila nella mente. Dal 13 aprile 1986 sono passati 27 anni. Il giorno dell’ultima vittoria esterna sul Milan è una forte suggestione: molti non erano ancora nati, anche Benitez ci pensa. È una partita che sente, è nello stadio delle sue illusioni italiane, vi arriva nei giorni cruciali di Moratti, che piantò con un elegante comunicato, una frustata ogni rigo. E si capisce tutto, per la prima volta nel suo stile educato e pensoso il maestro spagnolo fa trasparire tensione. Non sorride neanche quando la coppia centrale di difesa dopo sei minuti schioda la partita: Albiol di testa invita Britos a girare in porta, la difesa milanista sembra sparita, quasi volesse fuggire va incontro alla palla, ma dove scappa, la palla è già altrove, nell’area milanista abbandonata si contano sei maglie azzurre. Signori, potrebbe dire Benitez, questo è il mio Napoli moderno e sfacciato: manda sei in area e la coreografia finale ha due interpreti insospettabili, inattesi, il classico Albiol e quel Britos così discusso, confermato dal testardo Benitez nel più diffuso scetticismo. La crudele bellezza di quell’azione sorprende Allegri. Il Milan non risponde, subisce le fiammate del Napoli prima di ridarsi un tono. La prima reazione del Milan: due fonti di gioco. A destra Abate avanza, mettendo a disagio Insigne che arretrando si ridimensiona, è un gigante finché opera negli spazi avanzati e stretti. Sulla trequarti, si impone il mingherlino ma mobilissimo Birsa, uno sloveno di 27 anni facile alle disavventure, alla celebrità arrivò nel mondo peggiore quando era con il Genoa, sbattendo con la sua Ferrari F430 in una galleria di Comigliano. Andava all’allenamento, con ingiustificata vanità per un giocatore ancora incompiuto. Ieri invece Birsa piazzato da trequartista mette in difficoltà il Napoli con movimenti orizzontali: sfugge ai controlli tra le linee, ma la sua attività frenetica non contagia il voluminoso Balotelli, ancora meno Matri. Dalla destra Abate non dà tregua, coinvolgendo Poli. Sul versante destro il Napoli è molto più forte, per l’immenso lavoro di Callejon, alle sue spalle c’è un convincente Mesto, fatto acquistare dal suo ex allenatore Mazzarri, ma tirato fuori dal freezer tra lo stupore dell’ambiente da Benitez. Fa il resto Reina, spettacolare come può apparire l’invincibile eroe di un fumetto. Il Napoli regge fino alla ripresa, senza nascondere qualche guasto. Hamsik non trova posizione, è un po’ troppo avanti, lascia qualche vuoto che può colmare il solo Behrami, non Dzemaili. Per escludere Hamsik, mai entrato in partita, Benitez aspetta due eventi. Il secondo gol, che consegna Higuain all’ammirazione del calcio italiano: il bomber si rivela una volta in più nella sua straordinaria tecnica. Indovina l’attimo per fiondare un diagonale dal limite nello spiraglio tra due milanisti con una mezza girata bassa. Un capolavoro nell’esecuzione: tempismo, intuito, precisione. Non solo le smorfie del teatrale Reina, anche l’immagine del gol di Higuain presentato come l’antagonista della serata avrà confuso le idee di Balotelli: sbaglia il primo rigore, ingannato dalla finta del portierone rosso corallo che finge di andare a sinistra e recupera a destra. Dopo aver sostituito Hamsik con Pandev, il Napoli ritira Higuain, applaudito forse anche dai tifosi milanisti mentre lascia il campo con la vittoria addosso. Benitez gli risparmia un po’ di fatica per liberarlo all’assalto del Sassuolo mercoledì al San Paolo, ma non inserisce certo un difensore. Manda Mertens, sperando che possa trattenere la palla al pari di Pandev. Per saldare la squadra attaccata da un disordinato Milan, entra quindi Inler. Insigne è sollevato da un compito ormai troppo gravoso per lui, finché ha potuto ha tentato di fare argine ad Abate, uscito da qualche minuto. Milano dice che il Napoli è in continuo progresso. La vittoria non facile, logorante sul Borussia Dortmund lasciava temere qualche flessione. Atterrato a Milano per chiudere un conto lungo 27 anni, Benitez ha presentato invece una squadra di nuovo fresca, consapevole della sua giovane forza, concentrata nell’esprimere un’allegria sfrontata. L’impronta di una squadra che esalta un pubblico senza frontiere con il suo più evidente dei segreti: gioca senza paura. Diverte perché si diverte. La classifica non mente, il campionato apre le porte ad una squadra e ad un campione imprevisto. Il Napoli di Higuain.
Fonte La Repubblica
La redazione
F.G.
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